Connessi: raccomandazioni e tecniche
per promuovere la relazione terapeutica online con strumenti internet. Esperienze italiane

Gianmarco Manfrida1, Valentina Albertini2, Erica Eisenberg2



In un mondo che cambia con incredibile velocità, medici e terapeuti sono al centro di domande cui non è facile rispondere utilizzando la propria esperienza. Divulgare l’esperienza di chi ha lavorato per primo su temi dotati di un alto coef­ficiente di novità sarà, dunque, lo scopo principale di questa sezione della rivista.


In a fast world, practitioners and therapists are the target subjects of many questions to which it is not easy to answer using one’s previous personal expe-rience. The principal aim of this section will be to disseminate the experience of those who have been the first to work arguments with a high percentage of novelty.


En un mundo que cambia rápidamente, médicos y terapeutas se ponen una serie de preguntas que no son fácil de contestar recurriendo solo a la experiencia personal. Nos interesa divulgar acá, los aportes de aquellos que han trabajado por primera vez sobre algunos temas nuevos.



Riassunto. L’articolo esplora le differenti modalità di relazione terapeutica che possono crearsi online e offline, grazie all’utilizzo di strumenti, software e applicazioni che rendono possibile oggi un contatto fra paziente e terapeuta anche fuori dall’ambito del setting classico. Partendo dal presupposto che è ormai impossibile mantenere una relazione terapeutica completamente avulsa dall’impiego del telefono e di internet, diventa necessario riflettere sulle modalità da adottare per far sì che anche lo spazio online diventi un’estensione utile del setting terapeutico. Gli autori, partendo da una riflessione sulle specificità della relazione terapeutica online, analizzano le migliori modalità per l’impiego di SMS, messaggi WhatsApp ed e-mail con i pazienti. Vengono inoltre analizzate le modalità relazionali specifiche dei gruppi WhatsApp, ad esempio la gestione di una équipe terapeutica che coinvolga più specialisti. Successivamente si prende in esame la gestione del setting nell’utilizzo delle videochiamate, con l’esposizione di un caso. Infine, si discute della gestione dei social network da parte dello psicoterapeuta, riflettendo come sia necessario che l’identità online dello specialista rimanga coerente con l’immagine “offline” che hanno i pazienti all’interno della stanza di terapia.

Parole chiave. Psicoterapia online, WhatsApp in psicoterapia, videotelefonate e psicoterapia, e-mail psicoterapeutiche, rischi e benefici delle tecnologie di comunicazione, relazione terapeutica online.


Summary. Connected: recommendations and techniques in order to employ internet tools for the enhancement of online therapeutic relationships. Experiences from Italy.
The article explores the different types of therapeutic relationship that can evolve both on- and off-line, thanks to the use of tools, such as software and applications, which enable therapists and patients contact outside of the traditional setting. Given the premise that it is practically impossible today to maintain a relationship without the use of internet and telephones, it becomes necessary to question the ways in which the online space can become a useful extension of the therapeutic setting. The authors, starting from a consideration regarding the specificity of the online therapeutic relationship, analyze the best ways to use text and e-mail messaging with patients. Furthermore, specific interactions via group chats are presented, for example, to coordinate a therapeutic team involving several professionals. Further, video chat settings are discussed through a clinical case presentation. Lastly, the therapist’s management of social networks is debated, underscoring the importance for the therapists that his or her online identity be consistent with the offline image which patients are introduced to in the traditional setting of the therapy room.

Key words. Online psychotherapy, group chats interventions, online sessions, psychotherapeutic emails, advantages and risks of communication technologies, therapeutic relationship online.
Resumen. Conectado: recomendaciones y técnicas para promover la relación terapéutica en línea con instrumentos de internet. Experiencias italianas.
Este artículo explora las relaciónes terapéuticas que se pueden crear online, uilizando software y aplicaciones que permiten un contacto directo entre pacientes y terapeutas, y las diferencias con las relaciones terapeuticas offline. Suponendo que, hoy en día, es imposible mantener una relación terapéutica completamente desprovista del uso del teléfono y de internet, se hace necesario reflexionar sobre como el espacio online se pueda convertir en una extensión útil del setting terapéutico. Los autores, a partir de una reflexión sobre las caracteristicas de la relación terapéutica online, analizan como se puedan utilizar SMS, mensajes de WhatsApp y correo electrónico con los pacientes. Se analizan además las modalidades relacionales específicas de los grupos de WhatsApp, como la gestión de un equipo terapéutico que implica a múltiples especialistas. Posteriormente, el artículo examina el uso de videollamadas en la terapia, y enfin se analiza la gestión de las redes sociales, y la necesidad que la identidad online del especialista se mantenga coherente con la imagen “offline” que los pacientes tienen en la sala de terapia.

Palabras clave. Psicoterapia online, WhatsApp en psicoterapia, videoteléfono y psicoterapia, correos electrónicos psicoterapéuticos, riesgos y beneficios de las tecnologías de comunicación, relación terapéutica online.
UTILITÀ E LIMITI DELLA RELAZIONE TERAPEUTICA ONLINE
Secondo Marian Sandmeier [1], una ricerca recente sull’App Store di Apple ha rintracciato 1490 programmi per riduzione dell’ansia, 2193 per aiuto nelle relazioni interpersonali e 948 per supporto antidepressivo. Buona parte di queste app sono ispirate a principi cognitivo-comportamentali, altre forniscono supporto attraverso gruppi gestiti da psicoterapeuti o di autoaiuto: certamente non sono in grado, e molti lo ammettono, di sostituire la terapia faccia a faccia per rimediare a problemi di personalità con origine nell’infanzia, né di dare aiuto in situazioni di crisi gravi come un divorzio, una malattia, la perdita di una persona amata, e neanche in situazioni sintomatiche non occasionali come attacchi di panico ripetuti e frequenti, o disturbi ossessivo-compulsivi. Tuttavia, piuttosto che preoccuparsi per la concorrenza creata dalle App, gli psicoterapeuti dovrebbero domandarsi se alcuni aspetti della loro attività possono essere modificati in meglio impiegando con competenza psicoterapeutica tecnologie informatiche per la comunicazione a distanza; i terapeuti relazionali in particolare, provenendo da un approccio fondato sulla comunicazione [2], posseggono le competenze per analizzare le caratteristiche comunicative delle nuove tecnologie e impiegarle per aumentare l’efficacia delle terapie.
La possibilità di mantenere una comunicazione aperta con i pazienti attraverso tecnologie online può infatti consentire:
– di sostenere situazioni gravi, urgenti o di scompenso al di fuori dei limiti orari dell’incontro o del colloquio telefonico;
– di proseguire l’intervento oltre il termine della seduta, decifrando il significato del messaggio ricevuto all’interno del processo psicoterapeutico e rispondendo in modo congruo;
– di garantire la reperibilità del terapeuta, visto che i messaggi arrivano subito o alla riaccensione del cellulare in caso sia spento, senza però l’obbligo di rispondere immediatamente, interrompendo altre sedute o attività;
– di prolungare il potere della relazione terapeutica oltre i limiti orari della seduta, perché il paziente possa sentirsi incoraggiato, sostenuto, frenato, comunque aiutato ed assistito dal suo terapeuta nei momenti di difficoltà dovunque si trovi;
– di ridurre la frequenza delle sedute, con una diminuzione dei costi per i pazienti;
– di salvaguardare, nel caso di messaggi scritti, l’autonomia del terapeuta, che può decidere se, quando e come rispondere riflettendoci sopra con calma, magari anche metacomunicando e mantenendo così un controllo su possibili eccessi di invadenza o tendenze ad agire in modo impulsivo.

Scopo di questo lavoro è illustrare le caratteristiche della comunicazione online, intesa come strumento che risponde agli scopi descritti, all’interno della relazione terapeutica.
RELAZIONI ONLINE E RELAZIONI TERAPEUTICHE ONLINE
Molte le critiche mosse alle relazioni virtuali in questa era dei network person-to-person [3], eppure la maggior parte delle ricerche scientifiche sembra screditare questo atteggiamento diffuso, sottolineando come la partecipazione a relazioni online corrisponda in molti casi ad una maggior capacità di relazione in presenza. Le nuove tecnologie sono uno strumento che, se ben gestito, può facilitare la relazione sociale (e quindi anche quella terapeutica): vale la pena per questo aprire spazi di riflessione su come esse possano venire intelligentemente inserite nelle nostre relazioni personali e professionali.
Uno studio sull’utilizzo della messaggistica online da parte degli adolescenti negli Stati Uniti [4] ha sottolineato come, per le giovani generazioni, i messaggi telefonici non sono “scrittura”, ma “conversazione”. Questo dato ci conferma come oggi la differenza fra scrittura e comunicazione orale stia, pian piano, scomparendo.
La ricerca sulle motivazioni che spingono i giovani a comunicare online [5] ne ha principalmente evidenziate cinque:
1. il mantenimento di relazioni tenendosi sempre in contatto con i propri amici, anche quelli non raggiungibili perché lontani [6];
2. l’incontro di nuove persone [7];
3. la compensazione sociale ovviando a problemi presenti nella comunicazione offline con la socializzazione online [8];
4. l’inclusione sociale con il bisogno di appartenere ad un gruppo [9];
5. il divertimento [10].

Un lavoro significativo [11] pone a confronto due opposte ipotesi esplicative per interpretare la relazione tra comunicazione/socializzazione online e il benessere psicologico di preadolescenti e adolescenti: la teoria del disimpegno e quella della stimolazione.
La teoria del disimpegno afferma che la comunicazione online incide negativamente sul benessere psicologico perché sottrae tempo che potrebbe essere dedicato alle amicizie già esistenti, diminuendone la qualità, e stimola la tendenza dei ragazzi a intrattenere relazioni con sconosciuti, di breve durata ed emotivamente poco significative. L’ipotesi alla base di queste affermazioni è che internet sia un “sostituto virtuale” della comunicazione faccia a faccia e fornisca una sorta di compensazione alle difficoltà sperimentate nelle relazioni offline [12].
La teoria della stimolazione sostiene, al contrario, che la comunicazione online permette un arricchimento del contesto relazionale del soggetto e favorisce opportunità di crescita e di adattamento. Alcune ricerche [6] hanno evidenziato, ad esempio, che il tempo impiegato in instant messaging predice la qualità e quantità delle relazioni interpersonali dei ragazzi e il loro benessere psicologico.
All’interno del setting terapeutico la comunicazione online è da considerarsi un disimpegno, mantenendo una distanza tra pazienti e terapeuti, o una stimolazione, collegandoli maggiormente? Sebbene la discussione resti ampia e necessiti ancora di approfondimenti, è indubbio che in quanto terapeuti possiamo osservare come per i setting relazionali la teoria della stimolazione sia molto più adeguata rispetto a quella del disimpegno. L’introduzione della possibilità di comunicare con mezzi tecnologici si è già dimostrata infatti un elemento che ha portato all’interno del setting elementi di interazione nuovi e a volte essenziali nelle relazioni terapeutiche: Mara Selvini Palazzoli et al. [13] con la strutturazione della scheda telefonica introdussero il tema del primo contatto con la famiglia e dell’importanza di preparare anche questo colloquio iniziale raccogliendo dati in maniera organica, rendendoli utilizzabili subito. Dall’impiego della tecnologia non si può quindi prescindere, ed è per questo fondamentale esplorare in maniera approfondita come gli aspetti relazionali del setting vengano messi in gioco nella comunicazione online.
LETTURA E SCRITTURA TERAPEUTICHE DEI MESSAGGI WHATSAPP, SMS ED E-MAIL
Qual è la differenza tra SMS/MMS, iMessage e WhatsApp?
Con SMS/MMS si possono inviare messaggi di testo e foto ad altri telefoni cellulari o dispositivi utilizzando il credito della carta telefonica SIM [14]. Con iMessage è possibile inviare messaggi di testo e fotografie a un altro dispositivo iOS tramite Wi-Fi, senza preoccuparsi dei costi della messaggistica di testo; stesso discorso per WhatsApp e simili, solo che queste app sono disponibili non solo su iOS ma anche su Android, Windows Phone, BlackBerry ed altri OS.
WhatsApp – secondo i dati dell’Osservatorio sulle comunicazioni pubblicati dall’AGCOM – ha cannibalizzato ormai i vecchi messaggi di testo, facendone crollare i numeri in modo dirompente. Il traffico SMS nel 2016 ha continuato a ridursi del 27,7% rispetto all’anno precedente, toccando 17,8 miliardi di messaggi e portando il passivo a -75% rispetto al livello massimo raggiunto nel 2012 (72,2 miliardi di SMS). Il trend è costante da 4 anni: l’invio di messaggi di testo attraverso la rete telefonica è ormai stato soppiantato dalla modalità online. Oggi l’impiego di SMS si va restringendo alle aziende o a quegli scambi che includono una certa formalità: iMessage, WhatsApp e simili invece vengono utilizzati per comunicazioni personali e spesso informali con persone conosciute. Gli SMS mantengono in effetti, non dipendendo da una connessione internet Wi-Fi, una maggiore garanzia di recapito; più spesso il primo contatto con il professionista avviene attraverso SMS e, anche nel caso di quei minorenni che impiegherebbero spontaneamente WhatsApp,  sono i genitori che cercano lo specialista impiegando per lo più SMS. A terapia avviata invece il contatto attraverso SMS può essere sostituito da quello via WhatsApp, in compenso gli SMS salvano il terapeuta dall’imbarazzante problema creato dalle funzioni “Ultimo accesso alle ore…” o “Messaggio visualizzato alle ore…”. Infatti se il messaggio WhatsApp viene aperto, la sua lettura (a meno che la funzione di segnalazione di ricevuta non sia stata disabilitata, come recentemente divenuto possibile) viene segnalata al mittente, dopo di che la risposta più o meno sollecita da parte del terapeuta verrà interpretata in senso relazionale come disponibilità immediata garantita o sostanziale disinteresse che può condizionare la relazione terapeutica: le stesse scelte se disabilitare la funzione, se aprire o no il messaggio e quando farlo assumono quindi un valore terapeutico e implicano un’assunzione di responsabilità per il terapeuta, da gestire nel quadro della relazione e secondo le necessità della terapia. Escludiamo il nostro cliente dalla confortante possibilità di vedere che abbiamo ricevuto la sua richiesta di attenzione o ci assumiamo un impegno costante nel corso della giornata? Prima o poi comunque dovremo rispondere e dedicare ai testi altrui e nostri un’attenzione terapeutica relazionale…
Al proprio nome può essere associata su WhatsApp una fotografia o un’immagine: se queste possono essere rivelatrici di alcuni aspetti dei clienti, il terapeuta deve fare molta attenzione alla scelta di proprie immagini. Ad esempio una che mostra la sua famiglia felice in vacanza può comportare conseguenze nei rapporti con clienti che siano meno fortunati; la foto dei figli può creare problemi con clienti che non riescano ad averne; inserire immagini spiritose può comportare il rischio di essere messi in ridicolo negli eventuali momenti di contrasto che possono verificarsi in terapia; mostrare altre persone o animali domestici suscita curiosità e apre in modo poco controllabile a imbarazzanti invadenze nella vita personale, potenzialmente nocive per la terapia.
Il modo in cui SMS, WhatsApp ed e-mail sono scritti non deve essere mai considerato casuale, sia per quelli che arrivano, sia per quelli che vengono inviati dai terapeuti. Un testo scritto tutto in maiuscole o interrotto da un eccesso di puntini sospensivi sembra ben adeguato a una diagnosi di personalità istrionica, anche solo per i caratteri: contiene quindi già un suggerimento diagnostico. Molti messaggi inoltre raggiungono i terapeuti senza essere firmati, come se il paziente avesse la pretesa di essere immediatamente riconosciuto o ancor meglio unico per il suo terapeuta; questi in tal caso, rispondendo con un messaggio che segnala solo la mancanza della firma, ristabilisce subito un principio di realtà nella relazione terapeutica, oltre a risparmiarsi l’impegno di identificare l’inviante ricorrendo all’agenda. Il fatto che il nome dell’inviante possa essere indicato dal telefono non toglie significatività a questa osservazione, perché il cliente non è autorizzato a presumere di essere incluso nella rubrica del terapeuta e comunque è buona norma, in messaggi di lavoro, firmare il testo.
Talora i messaggi ricevuti contengono incongruenze e contraddizioni che possono essere segnalate subito ed esaminate successivamente in terapia dal terapeuta, in modo da creare un’attivazione nel paziente e addestrarlo all’indagine psicologica.
Un valore “espressivo”, se non coscientemente retorico, dei messaggi telefonici è testimoniato anche dall’uso della punteggiatura, come nel seguente esempio, in cui si apprezza come la paziente ci tenga a comunicare la notizia in modo emozionante:
Paziente: “Ciao, sono Cristina… ho una novità… sono incinta di circa otto settimane. Evidentemente ho sbagliato i conti!”
Anche il terapeuta per ogni messaggio ricevuto deve fare delle scelte stilistiche di risposta adeguate al contenuto, in modo da confermarlo e rafforzarlo con elementi persuasivi: per rispondere a una disdetta, ad esempio, può scegliere un tono neutro o uno preoccupato o perfino indifferente, a seconda del significato che attribuisce alla disdetta, al momento del processo terapeutico, alle sue intenzioni relativamente all’intervento.
Ricorrere al nome del paziente può essere una maniera per trasmettere una maggiore “personalizzazione” al messaggio, rendendo meno fredda la parola scritta. La collocazione del nome può esprimere sfumature diverse di significato: ad esempio, “Giovanni, ha proprio fatto una cavolata” è più comprensivo e meno accusatorio di “Ha proprio fatto una cavolata, Giovanni!”, dove la contiguità alla fine della frase, ancor più se c’è un punto esclamativo, sembra implicare una tirata d’orecchi piuttosto che consolatoria solidarietà. Quest’ultima a sua volta può essere ulteriormente accentuata semplicemente con l’uso della punteggiatura: “Giovanni, ha proprio fatto una cavolata…”.
Si può dire che l’organizzazione della frase, la distribuzione delle parole, la punteggiatura, il suono che ci risuona dentro alla lettura ed altre risorse danno anche al messaggio scritto quell’aspetto connotativo dei significati che nella pragmatica della comunicazione viene attribuito alla componente analogica del linguaggio [2].
Che il terapeuta firmi sempre i suoi messaggi, per esteso o con una sigla, non è quindi solo un debito di cortesia e un segno di educazione: la conclusione come “dr. E. (iniziale) B (cognome per esteso)” o “GA (sigla)” rappresenta comunque un marcatore di contesto, indica che si tratta di un messaggio interno a un rapporto professionale, riducendo i rischi di un eccesso di confidenza.
Nel caso che il terapeuta ritenga di ricevere troppi messaggi o voglia sottolineare a scopo terapeutico lo squilibrio del rapporto, può utilizzare diverse maniere: rispondere con un messaggio che rimarca l’eccesso; non rispondere o rispondere solo dopo un tempo adeguato a far temere al paziente di aver esagerato; conservare i messaggi nella memoria del cellulare e utilizzarli nella seduta successiva per farne argomento di lavoro sulla relazione. Per il terapeuta la scelta dei termini appropriati a creare nel paziente l’effetto psicologico voluto è un impegno, di grado variabile ma da non sottovalutare: un semplice incoraggiamento è comunque diverso se espresso con “Brava!” o con “A presto”. Una battuta o un commento spiritoso possono confermare una particolare intesa in certe situazioni, ad esempio “Complimenti, un risultato di prestigio che le porterà credito e… clienti!”; in altre, è opportuno usare espressioni più generiche, ad esempio “Mi fa piacere che abbia ottenuto un così buon risultato”.
I messaggi poi possono essere corredati di “emoticon”, figurine più o meno allegre che fanno parte di un codice condiviso di comunicazione di emozioni e di stati d’animo; inseriti nel testo, specificano la posizione emotiva dell’inviante evitando il rischio di equivoci. “Ti odio!” assume un diverso significato se seguito da



Quando si redige un testo online, talvolta può risultare difficile esprimere correttamente i propri sentimenti. Le faccine possono aiutare a risolvere il problema. Molte persone preferiscono invece utilizzare alcuni caratteri, indicati nelle colonne di destra nella Figura 1, per creare immagini espressive, tipo :-) oppure :-( . “Sei proprio un disgraziato! :-)” è molto più rassicurante che “Sei proprio un disgraziato! :-( :-( :-( 8-[”. L’inventiva che possiamo riscontrare nella creazione di emoticon e nell’uso a scopo grafico dei caratteri della tastiera testimonia dell’importanza che gli esseri umani attribuiscono alla componente relazionale della comunicazione, assimilata fin da piccoli nel processo sociale di costruzione di una realtà condivisa.




Alcuni esempi di scambi via WhatsApp
Primo esempio: Francesca
Si tratta di un’infermiera di 31 anni, al quinto incontro di psicoterapia per depressione, con un tentativo di suicidio attraverso ingestione di farmaci e un disturbo di personalità borderline. Vive sola; il tentativo di suicidio fa seguito alla conclusione di una relazione sentimentale con un soggetto fortemente problematico, infedele e violento ma anche esigente e dispotico.
In un incontro antecedente di due giorni, Francesca aveva riferito di essere stata riavvicinata da Richard e di sentirsi in grave difficoltà emotiva; scopo del terapeuta è di mantenersi come riferimento anche tra le sedute, in una fase di avvio della relazione terapeutica in cui non si è potuto stabilire un rapporto abbastanza solido da garantire contro il ripetersi di tentativi autolesivi. Un fattore di allarme è rappresentato dall’orario del primo messaggio e dall’accenno, nel terzo, alla giornata passata a letto, cioè senza andare al lavoro e sola in casa. I messaggi del terapeuta rispondono alla richiesta di Francesca di non essere lasciata sola; al tempo stesso proseguono una linea di intervento avviata nell’ultimo colloquio che mira a modificare l’immagine di Richard come principe azzurro unico e irripetibile e a ricercare nelle caratteristiche di personalità e nella storia della paziente le motivazioni per il suo malessere, in modo da ridurre la reattività a stimoli esterni incontrollabili come i ritorni e gli allontanamenti di Richard.
Francesca (mercoledì 01.02, ore 23.40): “Mi sono sempre sentita fuori dalla vita sociale. Con lui mi sentivo normale. Anche avere le corna è normale… L’ orgoglio non c’entra poi così tanto”.
Terapeuta (giovedì 2.02, ore 10): “Infatti la competizione non la stimola, vero? Via, Francesca… Non mi faccia la parte dell’innamorata folle”.
Francesca (giovedì 02.02, ore 10.15): “L’orgoglio c’entra è vero ma è marginale. È la solitudine che genera le crisi d’ansia quindi agisco per non rimanere sola. Se perdo lui torno sola”.
Terapeuta (giovedì 02.02, ore 11.05): “Mi sembra quella di Richard una compagnia troppo impegnativa e incerta per lei… Ma faccia come crede”.
Francesca (giovedì 02.02 ore 18.56): “Mi sento sola come un anno fa prima di conoscerlo. È tutto il giorno che sono a letto. A cosa mi aggrappo?”.
Terapeuta (giovedì 02.02 ore 19.10): “Sa benissimo che può intanto aggrapparsi a me, infatti mi chiama e mi scrive… e fa bene, ci può contare, Francesca. Poi vedremo”.
Secondo esempio: Claudia
Claudia ha 22 anni ed è in terapia da due anni per attacchi bulimici; eliminato questo problema, la terapia è rivolta da un anno alla risoluzione di problemi di crescita che hanno bloccato gli sviluppi della sua vita sia nel campo degli studi sia in quello delle relazioni sociali e affettive. Il messaggio fa seguito a un periodo di attività di sostegno per la ripresa della frequenza universitaria. La terapeuta intende non solo valorizzare il risultato ottenuto dalla paziente, ma attraverso esso farle acquisire maggiore fiducia in qualità di carattere di cui lei si sente carente. Al tempo stesso, la terapeuta sminuisce la propria parte nel conseguimento del risultato, accetta un rapporto parzialmente “adottivo” richiesto attraverso l’“abbraccio” ma lo modera con “cari saluti”, conferma l’appuntamento successivo garantendo implicitamente che per il momento non vi è il rischio che si tiri indietro se la paziente fa progressi.
Il messaggio mira quindi ad un sostegno terapeutico, che però travalica il singolo risultato positivo e si estende a una riorganizzazione del carattere.
Claudia (sabato 01.04, ore 18.46): “Sono passata anche a francese e la professoressa che l’altra volta mi aveva bocciata mi ha fatto i complimenti. Sono proprio contenta. A mercoledì. Un abbraccio”.
Terapeuta (sabato 01.04, ore 19.05): “Brava Claudia! Mi fa molto piacere. Ha dimostrato capacità, determinazione e volontà ed è stata meritatamente premiata. A mercoledì. Cari saluti”.
Terzo esempio: Luigi
Il collegamento via sms concordato in seduta prima della partenza consente a Luigi, affetto da attacchi di panico, di affrontare un viaggio in aereo con la ragazza e alcuni amici. Il successo dell’iniziativa può contribuire ad incrementare la fiducia in se stesso del paziente e ridurre i rischi di recidiva degli attacchi di panico, evitando anche l’insorgere di problemi nella relazione affettiva e nel gruppo sociale di riferimento. La risposta del terapeuta conferma l’interesse protettivo di questi, senza caricare di troppe responsabilità Luigi, riconducendo quindi l’esperienza affrontata ad un quadro di normalità.
Luigi (domenica 13.03 ore 14.05): “Dr.ssa buongiorno, sono Luigi, sono arrivato or ora all’aeroporto di Budapest… qui tutto ok… il viaggio è andato benone. Grazie mille! Saluti!”.
Terapeuta (lunedì 14.03, ore 9.20): “Luigi, mi fa piacere che il viaggio sia andato bene. Stia tranquillo e si diverta. A presto”.
Alcuni esempi di WhatsApp frequenti, per argomenti:
Farmaci
Paziente: “Se dovessi aumentare la sertralina, quando dovrei prendere la seconda pasticca?”.
Disdetta
La risposta è accogliente, ma rimarca che non sta al paziente decidere data e orario degli appuntamenti, invitandolo a concordare insieme la nuova data.
Paziente: “Sono Tommaso e mi sono ammalato. Mi va bene per il 15 se non ci sono problemi. Grazie”.
Terapeuta: “Tommaso, mi dispiace che si sia ammalato. Mi chiami entro le ore 11.30 oppure dalle 13 alle 13.45 e le darò il prossimo appuntamento”.
Informazione/Controllo
Ai messaggi che li informano di difficoltà e di progressi, consentendo un controllo di quel che avviene nel tempo tra le sedute, il terapeuta risponde con una partecipazione che sostiene gli assistiti nei momenti più duri e li rinforza positivamente in quelli di meritato successo.
A. Paziente (una settimana dopo il primo incontro): “Buongiorno, non ci sono miglioramenti mi sento giù e ho paura che non ce la farò”.
Terapeuta: “Capisco l’incertezza e lo scoraggiamento, ma sa che intorno tutti le vogliono bene e non c’è motivo di sentirsi un cagnolino sperduto nel bosco dei lupi. Inoltre, tra poco funzioneranno anche le medicine. Avanti!”.

B. Paziente: “Buongiorno, le volevo dire che a Caserta è andato tutto bene. Mi scusi se le mando questo messaggio con qualche giorno di ritardo”.
Terapeuta: “Marcella, tanti complimenti. Mi fa molto piacere”.
Psicoterapia
La terapeuta accetta la richiesta di conforto, ma preannuncia il tema della prossima seduta, invitando la paziente a un maggior impegno e avviando un intervento sulla relazione terapeutica, intesa come sostegno o come alleanza per un cambiamento.
A. Paziente: “Buona sera dr.ssa! Siccome sono un po’ giù gradirei poter ricevere, se può, un suo sms di conforto. La mia situazione con Mauro non è cambiata. Grazie e mi scuso”.
Terapeuta: “Luciana, le do tutto il mio conforto e sostegno, ma prima di tutto vorrei sapere come mai non è venuta all’appuntamento del 10/2, che cosa le è successo?”.
Il terapeuta rileva il carattere drammatico accentuato fin nella scrittura con tutte maiuscole del messaggio, contrastante con la riserva di tenersi fino alla mattina dopo il privilegio di venire all’ora fissata o più tardi. Rifiuta di deresponsabilizzare la paziente garantendole comunque la sua disponibilità e crea le premesse subito per proporre nella seduta successiva la necessità di curarsi davvero per l’alcolismo invece di commiserarsi e farsi commiserare per la propria incapacità. Sceglie apposta di rispondere molto sinteticamente e utilizzando solo lettere minuscole per enfatizzare la componente esibizionistica del messaggio ricevuto.
B. Paziente: “Sono Stata In Preda All’ansia Tutto Il Giorno. Alla Fine Non Ce L’ho Fatta Più E Ho Ceduto Alla Mia Autoterapia Bevendo Amaretto. Ho Pianto Tanto E Tanto. Me Ne Vergogno. Volevo Dirglielo.
P.S. Spero Di Dormire Stanotte E Di Essere Da Lei Domani X Le 10,30 Altrimenti La Chiamerò Per Il Buco Delle 13”.
Terapeuta: “metta la sveglia, annarita: il buco delle 13 non è più disponibile”.

Il seguente è un brevissimo scambio che implica un’ironica riflessione sul riproporsi di un problema e sul rapporto terapeutico e potrebbe aver luogo in una qualsiasi seduta di terapia.
C. Paziente: “Ci sarà pure una ragione se mi ammalo sempre 2 giorni prima dell’esame…”
Terapeuta: “Incomincio a dubitarne anch’io…”
Paziente: “È incoraggiante…!”
E-mail: aspetti specifici della comunicazione terapeutica via e-mail
Diversamente dai messaggi WhatsApp e SMS, il cui scambio viene vissuto come una conversazione, le e-mail, data la quasi costante maggiore lunghezza, vengono vissute piuttosto come lettere: si prestano quindi ad un tipo di comunicazione terapeutica in cui, per una distanza fisica o temporale che incide sull’immediatezza del rapporto, terapeuta e cliente optano per uno scambio epistolare piuttosto che vocale. Mentre restano valide tutte le osservazioni generali sulle modalità di scrittura, vi è più spazio per il racconto e per la restituzione del terapeuta, meno per la battuta sintetica efficace che nei messaggi conferma e riprende i contenuti delle sedute in presenza. Naturalmente è possibile che in una terapia si alternino, oltre che incontri faccia a faccia, scambi via SMS o WhatsApp e via e-mail: segno di diverse esigenze espressive, a cui corrispondono diverse modalità comunicative.
Naturalmente, se gestire oltre che le sedute in presenza anche scambi di messaggi è impegnativo per il terapeuta, una frequenza eccessiva di ricorso alle e-mail diventa veramente difficile da sostenere: i messaggi più lunghi devono necessariamente essere limitati ad occasioni meno frequenti ed eventuali eccessi vanno trasformati in argomento di sedute faccia a faccia dando alla loro discussione un significato terapeutico.
Un esempio di terapia via SMS ed e-mail
Il caso clinico che proponiamo è stato condotto con il sostegno delle nuove tecnologie, in particolare messaggi SMS ed e-mail. Maria è una commercialista abbastanza affermata di 43 anni, divorziata con un figlio di 15 anni e due cani, in terapia con incontri quindicinali da oltre due anni, all’inizio per disturbi depressivi e ansiosi con idee autolesive, poi per un lavoro sulla personalità.
Si tratta di una grave situazione di scissione: da un lato è responsabile, seria, materna, affidabile e precisa, dall’altro ha comportamenti a rischio, come una promiscuità sessuale mal gestita, l’assunzione sporadica ma intensa di sostanze eccitanti e l’elevata esposizione a pericoli inutili. Nel corso della terapia emergerà che anche se si presenta sempre come “Maria” il suo nome completo è “Maria Maddalena”. “Maria” è costantemente alla ricerca di un affetto unico e romantico da vivere con passione adolescenziale: assiste i genitori anziani, provvede al figlio con dedizione, sogna una vita di coppia stabile e ricca di affetti, ha anche adottato due cani randagi. “Maddalena” è la parte peccatrice disinibita, brillante seduttrice, sessualmente sfrenata, orgogliosa della propria libertà ed esperienza.
In terapia hanno luogo, oltre ad incontri quindicinali, contatti nei periodi di crisi attraverso SMS e alcune lunghe e-mail in momenti di distacco per ferie o assenze del terapeuta: l’obiettivo è di mantenere un rapporto di coinvolgimento tale da gestire una terapia sulla personalità fondata sul rapporto con il terapeuta nonostante una frequenza di sedute regolare ma non più che quindicinale.
10 luglio, ore 9,29. Messaggio di Maria
“Mi scusi se La disturbo ancora ma avrei assolutamente bisogno di un suo consiglio immediato: questa persona di cui Le ho parlato ieri è un collega. Ha 49 anni e non riesce a crearsi un legame stabile perché (parole sue) è combattuto perennemente tra la voglia di amore sesso e libertà. Il fatto è che fra di noi, almeno per ora, c’è una grossissima intesa di testa e ieri sera, dottore, a letto, ho provato un’unicità totale con questa persona. Abbiamo fatto l’amore in una maniera completamente avvolgente, parlando, ridendo… E queste emozioni le ha provate anche lui pur continuando a dire che sa come è fatto. Se ieri ero in crisi oggi ancora di più… Gli ho mandato un messaggio e mi ha risposto ‘bacio grande’. Cosa devo fare? Mi aiuti la prego. Maria”.
10 luglio, ore 9,35. Messaggio del Terapeuta
“Ci riesce a prenderla MOLTO sportiva con pochi incontri e investimenti affettivi? Uno così lo aggancia solo facendosi rincorrere, mostrando che anche lei non vuole investire in questa relazione. Ma ce la fa o è la solita trappola per Maria? Ci pensi se il gioco vale la candela e comunque ne parliamo. gmm”.
18 luglio, ore 7,46. Messaggio di Maria
“L’ennesima delusione. Non aveva senso continuare a vedersi ma il problema è che mi aveva preso di testa in maniera incredibile, sono in crisi piena. Comunque il problema più grosso è che mi sento del tutto incompresa, anche da Lei, che pensa che mi butti in ogni storia alla ricerca di sicurezza perché mi sento brutta e piccina… Non è così, ho solo tanta voglia di amare e di avere una persona accanto. Mi sento veramente incompresa”.
18 luglio, ore 9,56. Messaggio del Terapeuta
“Non faccia la piccola incompresa o l’adolescente ribelle anche con me, non sottovaluto né sofferenza né rabbia, cerco di trattarla da adulta, può consentirmelo? gmm”.
18 luglio, ore 10,00. Messaggio di Maria
“Sinceramente l’impressione che ho io è che non mi stia trattando da adulta ma da bambina sciocca, per non dire peggio…”.
18 luglio, ore 10,05. Messaggio del Terapeuta
“Mi vede troppo severo…”.
Continuando il lavoro terapeutico, arriva il momento delle ferie, che rappresenta per il paziente nel percorso clinico una breve, ma a volte difficile e dolorosa separazione. Il terapeuta ha lasciato il proprio indirizzo mail a Maria Maddalena per coprire emergenze durante il mese di distacco, data la situazione instabile e l’avvio recente del lavoro sulla personalità. Uno dei cani di Maria muore improvvisamente in un incidente, rinnovando sentimenti di perdita e di solitudine a cui lei reagisce adottandone un altro poche ore dopo.
Nella e-mail seguente, inviata il 18 agosto (l’ultima seduta era del 21 luglio), Maria riassume la sua storia personale: oltre ai contenuti, la scrittura stessa rivela aspetti di ansia e di confusa accelerazione del pensiero, oltre che atteggiamenti istrionici, ad esempio nell’uso della punteggiatura, con un eccesso di puntini di sospensione.
18 agosto, e-mail di Maria
Sono crollata fisicamente e psicologicamente… un altro cane… Chissà cosa credevo mi potesse dare… E poi… Anche lei se n’è andata… Sotto una macchina… Dolore atroce… Ripiegata in due in mezzo di strada a piangere la mia canina che non c’era più… Ho preso subito quella nuova al canile, un cane mi ha morso…
Ernesto stava peggiorando… Se ne stava andando… Sua moglie si era riavvicinata… lui avrebbe voluto me ma invece se c’era lei non mi faceva nemmeno andare… Se n’è andato… Non mi ha aspettato… L’ho rivisto morto… L’ho stretto a me… L’ho baciato… Gli ho comprato delle rose rosse… Me l’hanno buttate via davanti ai miei occhi, mi hanno dato di troia, mi hanno buttato fuori dalla casa di Ernesto, non mi hanno permesso di stare con lui… Non ero lì quando lo hanno chiuso, non ero lì quando lo hanno sotterrato…
Che dolore immenso ho dentro di me… Nessuno credo possa capire…
Mi sono buttata sul lavoro… Tanto lavoro, tanto sacrificio, tante parole perché non riesco a star zitta, tanta rabbia dentro di me…
Sono uscita con tanti uomini…
Sono andata a Trieste a un corso con un collega…
anche un fine settimana con un tipo di Torino…
Tutto fino a 15 giorni fa… Conosco il collega di Perugia… Bel tipo… Mi prende di testa …facciamo l’amore con un trasporto unico… non sesso… Amore…
Mollo tutto il resto… ma lui dice di essere un donnaiolo e di non volere legami… Io crollo, sto male, glielo dico… Non lo voglio più vedere… Ma dopo due giorni ci incontriamo ancora, lui viene a casa mia ma non è più la stessa cosa… Lui si accorge che io sono più triste… è vero. Sono più distaccata… anche lui è più cupo… Ha le “paturnie”, come le chiama lui… siamo ad oggi, a stamani…
Ma che cavolo sto facendo…
Un figlio che cresce… Ma che mamma sono… riuscirò a dargli serenità?
Mi accorgo che sono insoddisfatta… tutte queste corse, questo cercare continuamente chissà cosa…
Prendo un altro cane… Felicità in casa ma ancor più preoccupazioni, stanchezza, voglia di fuggire…
Caos… Solo caos… Stanchezza… Tanta stanchezza… Bisogno d’aiuto… Tanto…
Maria”.
18 agosto, e-mail del Terapeuta
“Cara Maria Maddalena.
Ha fatto un riassunto vorticoso di squarci della sua storia, e dietro è facile vedere i sentimenti e le emozioni: la speranza, la rabbia, il timore, la sfacciataggine provocatoria, la tenerezza, la forza… Tutti aspetti che sono suoi, nessuno deprecabile, ma con i contrasti che si porta dentro poca meraviglia che i suoi desideri restino insoddisfatti. Basta guardare la sua e-mail: è un vortice che lascia senza fiato e spiazza solo a leggerla, figuriamoci a viverla. Non dico nemmeno che lei trova sempre persone sbagliate: dico che se son giuste per un pezzo di lei non vanno poi bene all’altro, e che farebbe meglio a ridurre la scissione, la spaccatura che si porta dentro tra la bambina desiderosa che qualcuno le voglia bene gratis – come un genitore – senza doversi impegnare, e l’adolescente ardita, ribelle e anticonformista che grida “io sono mia e faccio quel che mi pare”. A me stanno simpatiche tutte e due le sue facce, sia Maria che Maddalena, ma… stessero una volta insieme! Invece sembra che di fronte all’ansia lei debba darsi da fare sempre di più sempre di più, raggiungere obiettivi ed avere conferme delle proprie capacità professionali seduttive sessuali genitoriali relazionali adottive di cani ecc. ecc. Può trovare soddisfazioni, ma solo temporanee, se un pezzo di lei resta a digiuno e uno solo per volta si sazia.
Ora ce l’ha con me… perché le dico di non lanciarsi su uno che mette le mani avanti dalla prima volta? Vuol dire esser così cattivo da privarla del suo legittimo sogno, o tenerci a lei e volerle risparmiare un incubo inutile? E in ogni caso se uno le dice di essere incostante, lei ritiene buona politica dirgli che lei no, invece, è fedelissima? Non conviene rispondere ‘toh, che fortuna, anch’io, così non ci creeremo problemi a vicenda’ e se lui vorrà attaccamento gli toccherà esporsi e rincorrerla, se non lo farà ok, simpatico compagno finché lei non trova quel che desidera da un’altra parte? 
C’è qualcosa nella rabbia che ha anche con me che non mi convince, Maria Maddalena, è perché l’ultima volta abbiamo spostato di più l’attenzione su di lei da piccola? Perché ho tirato in ballo i suoi? O anche con me alterna la ricerca di protezione e la sfida, anche con me compaiono le sue due facce, con il rischio di farla correre tanto per restare sempre allo stesso punto, di non farla essere stabilmente LEI in una terapia, solo di farci comparire un momento Maria e un momento Maddalena? 
Provo molta simpatia per lei e ho un gran desiderio di aiutarla; me lo lascerà fare, anche a prezzo di sentirsi parzialmente delusa in uno dei suoi estremi? D’altra parte, il primo esercizio per essere intera nella vita al punto di trovare un compagno soddisfacente per ambedue i suoi estremi è di riuscire a stare intera in terapia con se stessa e con me, è evidente. Ce la farà? Specialmente ora che ci sono le vacanze e magari si sentirà abbandonata anche da me, e quindi incavolata per l’ennesima delusione che l’ennesimo uomo, il sottoscritto, le dà, pare che ci sia e voglia star con lei e poi sparisce? Con qualche confusione e spostamento di ruoli e di carichi affettivi, piuttosto comune, utile se si riesce ad identificarlo e a lavorarci sopra. Perfino in una e-mail come questa! Riguardi la sua e-mail, faccia la detective, o la psicologa… veda quanti elementi ho per parlarle così… e quando ci rivedremo chiariamoci! A presto”.
RESTITUZIONI CONCLUSIVE VIA E-MAIL IN TERAPIA FAMILIARE
Costituisce una pratica comune in Italia concludere gli incontri di terapia familiare e di coppia con una restituzione finale, che non viene discussa sul momento con i clienti; Mara Selvini Palazzoli e il suo gruppo milanese descrivono bene questa pratica [13], che è stata portata avanti da molti terapeuti italiani e stranieri.
È diventata nostra prassi al centro di terapia familiare e di coppia, attrezzato di specchio unidirezionale e videoregistrazione, a Prato (Centro Studi e Applicazione della Psicologia Relazionale), inviare via e-mail a ognuno dei presenti in seduta di età superiore ai 12 anni la restituzione conclusiva di ogni seduta. Poiché la cadenza degli incontri è spesso mensile, la disponibilità dopo pochi giorni del testo dell’intervento con cui i due terapeuti concludono congiuntamente ogni seduta rappresenta una maniera per mantenere coinvolti i clienti nel periodo tra le sedute. Inoltre è possibile trasmettere le restituzioni a terapeuti individuali di singoli membri della coppia o della famiglia, consentendo di coordinare contenuti e tempi del lavoro terapeutico individuale e sui sistemi di coppia e familiari.
Restituzione inviata via e-mail dopo una prima seduta di coppia
“Nel vostro racconto ci sono stati dei momenti di sofferta e profonda sincerità e degli altri in cui il clima era quello di una sceneggiata napoletana con il maschio potente ipermacho e la femmina dolce ma anche lamentosa. Titolo della sceneggiata: il carnefice e la vittima. Siete dei fantastici attori ma con la sceneggiata non ci avete molto convinto, anche se vediamo la sofferenza che sta dentro tutti e due. Per capire il vostro presente crediamo si debba tornare al passato e domandarci che cosa aveva Rossana di così speciale a 21 anni da riuscire a far cambiare vita ad uno scapolone 27enne, esperto di mondo, di sostanze e di donne. Perché scegliere proprio lei per un cambiamento di vita così grosso da portare ad un trasferimento in Toscana? E Rossana sarà anche stata a 21 anni alla ricerca di un principe azzurro che la portasse via dalla famiglia e da Napoli, ma perché identificarlo in un tipo con l’aria da truppe speciali? Aveva anche bisogno d’affetto, non solo di muscoli… 15 anni dopo molte cose possono essere cambiate: essere in quattro con i vostri bambini è già diverso che essere in due, e gli stessi progressi che Rossana ha fatto con il lavoro e con la terapia possono renderla meno bisognosa di protezione speciale, allontanandola da Roberto. Tuttavia, il fatto che la situazione di vita e le convinzioni personali siano cambiate per tutti e due, non vuol dire che non possa esserci stata all’origine della vostra storia un’attrazione speciale, che potrebbe ancora riemergere se cambiassero alcune vecchie regole del vostro stare insieme. La prima di queste potrebbe essere: meno Rambo e meno Piccola Fiammiferaia. Cambiamo la sceneggiata e magari potrete ritrovarvi diversi eppure simili a prima. Ci rivediamo il 16 febbraio alle 17:30”.
Restituzione inviata via e-mail dopo la sesta seduta di una terapia familiare
“Abbiamo fatto una grande scoperta oggi, di cui speriamo facciate tutti tesoro. Voi siete una famiglia, ma la famiglia Flinstones! Sapete quella degli Antenati? Giovanni è Fred, quello che sembra il cavernicolo minaccioso con la pelliccia di leopardo, che grida ‘Wilma la clava!!!’. Luisa è Wilma, la moglie civilizzata che però se si arrabbia la clava la usa lei. Mariangela fa Dino il cucciolo di dinosauro che si butta addosso a Fred ogni volta che torna a casa, un sauro gentile. C’è anche Ciottolina, la loro figlia, che però rimane sempre ai margini della storia. Nonostante la clava e la pelle di leopardo Fred si rivela spesso un bambinone pasticcione di buon cuore, che si caccia in un mare di guai, da cui, spesso con le cattive più che con le buone, deve tirarlo fuori Wilma. Per questo Fred è sempre spaventato da Wilma e dalle sue arrabbiature e si sente a suo agio solo con l’amico Barney. Non sappiamo chi per Giovanni può essere l’amico Barney, forse suo padre? Si è creata in casa vostra una situazione in cui nessuno si sente apprezzato e amato dall’altro e tutti fanno di tutto per farsi apprezzare e amare di meno. In realtà il nostro Fred, oh scusi Giovanni, avrebbe la pretesa che tutti gli dimostrassero affetto e attenzione, trattandolo con la disponibilità, la premura e l’attenzione esclusiva che riceveva dai suoi genitori e parenti. Poiché Luisa, Mariangela e il resto del mondo non sono i suoi genitori, ma persone che di lui sentono il bisogno, sono riluttanti a trattarlo da bambino viziato; Giovanni si arrabbia, un po’ frigna, un po’ strepita e qualche volta urla e gli altri gli rispondono per le rime. Anche se ora ci capiamo meglio e speriamo che vi capiate meglio voi, non sappiamo se riuscirete a mettere da parte le vostre pretese per venirvi incontro, ma lo speriamo tanto perché nei cartoni la famiglia Flinstones, gli Antenati, è tanto simpatica; invece la vostra vita sembra troppo spesso trasformarsi in un incubo. Prossimo appuntamento tutti insieme il 16 febbraio ore 14.30”.
GRUPPI DI TERAPEUTI SU WHATSAPP ED E-MAIL
La funzione di WhatsApp che permette di creare “gruppi di contatti” può diventare uno strumento utile per comunicare rapidamente coordinando gli interventi tra terapeuti diversi che lavorano con pazienti appartenenti alla stessa famiglia (o comunque collegati fra loro): se da un lato vi è il rischio di una gestione troppo univoca delle diverse situazioni, vi è però la concreta possibilità di informarsi e aiutarsi in condizioni di emergenza, non solo psicologica. Inoltre, il gruppo consente di far fronte a situazioni in cui alcuni pazienti sono reticenti a dare informazioni: anche se non si possono utilizzare in seduta le notizie apprese dai colleghi, diventa più facile far emergere argomenti indesiderati. Infine, il gruppo rappresenta una risorsa di sostegno emotivo per i terapeuti che attraversano momenti incerti o difficili con i loro pazienti e traggono sicurezza dalla partecipazione dei colleghi. La condizione indispensabile è che si disponga del consenso dei clienti e venga rispettato il segreto professionale, limitando la partecipazione al gruppo ai terapeuti direttamente coinvolti.
Esempio di gruppo WhatsApp fra tre terapeuti
Nel caso in questione, il dottor Giacomo segue Teresa, moglie di Vittorio, la cui terapeuta è Gaia: il figlio maggiorenne Bernardo è seguito dal terapeuta Piero. I tre hanno rivolto richieste di terapie individuali, ciascuno per conto suo, ai terapeuti, chiedendo indicazione a un professionista amico di famiglia che condivide con i terapeuti la formazione psicoterapeutica relazionale.
Ecco la trascrizione dei messaggi scambiati dai tre terapeuti:
14/09, 11:39:38: Gaia: “Ho brutte notizie: Vittorio non si fa sentire e non ha risposto ai messaggi che gli ho mandato. A questo punto credo che per me sia impossibile riagganciarlo. Mi dispiace enormemente perché stava migliorando. È stato un grande piacere ed una grande occasione di crescita lavorare in gruppo con voi e con lui. Confidando nel vecchio adagio ‘mai dire mai…’ per adesso vi saluto, continuando, se me lo permettete, a seguire gli sviluppi del caso attraverso questa chat. Ciao a tutti, a presto”.
14/09, 15:35:53: Giacomo: “Cara G., Vittorio è un paziente difficilissimo da agganciare e ci eri riuscita… aspettiamo e vediamo cosa succede… lunedì 23 dopo aver visto Teresa scrivo al nostro gruppo! Lavorare tutti insieme è una grande occasione di crescita lavorativa ed umana!! Un forte abbraccio a tutti!!”.
15/09, 15:52:06: Gaia: “No, Giacomo, allora dillo che hai davvero i superpoteri... Indovinate chi mi ha scritto!?!”.
15/09, 15:53:41: Piero: “Vittorio, immagino...”.
15/09, 15:54:16: Gaia: “Proprio lui!”.
15/09, 16:45:52: Piero: “Lo sapevo che ormai l’hai agganciato, è uno che non si lega completamente a nessuno ma si tiene tutti... un abbraccio”.
15/09, 16:50:57: Gaia: “È proprio così, si tiene tutti: pure la sorella che crea tanti problemi! Vi faccio sapere se riesco finalmente a rivederlo. Un abbraccio”.
15/09, 16:58:00: Giacomo: “Cara Gaia e cari tutti, mi fa tanto piacere ricevere questa notizia! Lo sapevo che lo avevi agganciato! La relazione terapeutica l’hai costruita con lui! Ai prossimi aggiornamenti! Un forte abbraccio a tutti!!”.
18/09, 15:57:04: Gaia: “Dovrei vedere Vittorio mercoledì prossimo. A presto”.
24/09, 14:35:41: Giacomo: “Carissimi, ho visto ieri Teresa. Vittorio le ha detto che a causa dei problemi di salute (ricovero in ospedale, intervento…) ha saltato appuntamenti dalla dottoressa, Teresa gli ha chiesto di ritornarci di urgenza, perché quando ci va sta molto meglio!! La rivedo lunedì prossimo e se verranno fuori notizie che potranno esservi utili vi avvertirò. Un forte abbraccio a tutti!!”.
24/09, 14:49:40: Gaia: “Io, se non bidona e tenendo le dita incrociate, dovrei vederlo domani... A domani”.
25/09, 16:18:05: Gaia:Buongiorno gruppo! Ho appena visto Vittorio ed è stata una seduta bellissima dove sono perfino riuscita a fargli dire che pensa che la sorella sia folle. Con un paziente tanto reticente una simile seduta non sarebbe mai stata possibile senza il nostro gruppo ed il nostro prezioso scambio di informazioni.
Comunque, mi ha raccontato di essere diventato vegetariano (che tradotto vuol dire che ha avuto molta paura di morire) e questo è stato lo spunto per parlare – a modo loro (cioè senza essere mai troppo espliciti) – di tutte le sue paure, comprese quelle relative alla sorella, e mi ha detto, con sorprendente chiarezza, che vorrebbe che nel futuro tutto rimanesse come adesso e non succedesse MAI nulla di brutto. Ho risposto che è impossibile, perché le cose brutte succedono. Poi ho aggiunto che, però, lui le saprà gestire. In passato cose brutte sono successe e lui le ha sempre gestite – in qualche modo – e continuerà a farlo in modo sempre più efficace. In più, ora può lottare accanto a Teresa e lui ha riconosciuto che lei è un enorme sostegno. Ho concluso dicendo che collaborare con la moglie in modo attivo e partecipe è il metodo migliore per farla sentire amata.
Con lui niente è scontato e non sono sicura che non mi propini altri bidoni, ma ho una discreta certezza che ciò che gli ho detto sia arrivato dove doveva, visto che è uscito dallo studio decisamente contento. Al prossimo aggiornamento. Un caro saluto a tutti”.
SEDUTE VIA VIDEOCHIAMATE
È possibile condurre un’intera terapia online, senza un incontro diretto tra paziente e terapeuta? A meno di impedimenti gravi, ad esempio l’impossibilità per il paziente di uscire di casa per malattia, ci sentiamo di sconsigliare un percorso che non preveda periodicamente degli incontri in presenza. Sappiamo bene quanto sia faticoso fare un percorso di terapia, e bisogna stare attenti che la richiesta della relazione a distanza non sia in realtà un tentativo del paziente di restare “lontano” senza entrare realmente nella stanza, virtuale o fisica che sia: la stessa preoccupazione vale per il terapeuta, che può cercare inconsciamente in un contatto a distanza una protezione contro un coinvolgimento emotivo impegnativo anche per lui. Anche terapie fondate su protocolli che non lasciano molto spazio ad aspetti emotivi e improvvisatori hanno bisogno di una base di coinvolgimento relazionale per essere produttive: non basta vedere e ascoltare il terapeuta per sostituire quella prossimità fisica che consente di dargli fiducia. Occorre sentire direttamente il timbro della sua voce, vedere da vicino l’espressione dei suoi occhi, percepirlo in dimensioni normali e non in 16:9 o 4,7 pollici per decidere se affidarsi o no, se considerare l’incontro una lezione teorica personalizzata o l’occasione per cambiare la vita a se stessi e/o ad altri. Tanto più rilevante è la presenza faccia a faccia quanto più si lavora non soltanto sui sintomi ma anche sui disturbi di personalità soggiacenti, dove è la relazione stessa lo strumento terapeutico di eccellenza [15,16].
Per varie ragioni legate a casualità (emergenze, non disponibilità temporanea dello studio professionale, ecc.) o a specifici eventi del ciclo di vita (trasferimento del paziente o del terapeuta, impossibilità per malattia di uno dei due, pause per lunghi periodi di vacanze, ecc.) è possibile che si verifichi la necessità di effettuare delle sedute non in presenza.
In una situazione del genere svolgere la seduta online attraverso un software di videochiamata può essere un valido strumento per non interrompere il percorso terapeutico, ma anzi garantirne la continuità nel modo più simile a quello consueto, evitando la sequenzialità di uno scambio di messaggi scritti e mantenendo la sensazione (illusione?) di un colloquio diretto. A fronte di questa innegabile praticità si pone l’interrogativo di come gestire il setting in una dimensione online. La seduta online non è infatti una mera trasposizione tecnicistica di ciò che succede nel colloquio in studio [17], ma acquisisce aspetti comunicativi nuovi.
In primis, si può verificare una differenza di scenario. Nello studio professionale paziente e terapeuta condividono un ambiente comune impostato dal terapeuta, quindi qualsiasi elemento è vissuto da entrambi all’interno di una cornice definita dal professionista. Nella videochiamata, almeno uno dei due si troverà sicuramente in un luogo diverso da quello degli incontri consueti (se il terapeuta non dispone dell’attrezzatura necessaria a sostenere una videochiamata online è probabile che entrambi utilizzino spazi diversi). Ci saranno quindi elementi che entreranno a far parte del setting ai quali fare molta attenzione: ambienti, quadri e poster alle spalle (dei pazienti, perché possono essere spunti di intervento in seduta… del terapeuta, perché possono esporlo a mostrare parti di sé che non vorrebbe far vedere!), luci, immagini, foto di amici e parenti… per non parlare di animali domestici. Il terapeuta entra nel mondo del paziente con più enfasi e in modo più diretto di quanto farebbe nel suo studio, e questo deve essere un elemento da tenere in fondamentale considerazione al momento della seduta e da discutere eventualmente all’interno della relazione terapeutica.
È fondamentale che il paziente e il terapeuta siano in stanze chiuse, da soli, che intorno non ci siano persone che possano ascoltare ciò che viene detto o, peggio ancora, entrare per sbaglio nella stanza. La fase di apertura della seduta sarà probabilmente più lunga, perché ci sarà bisogno per entrambi di prendere le reciproche misure. Dopo pochi minuti, però, la differenza con il setting classico si andrà affievolendo fino a scomparire del tutto se la relazione terapeutica già avviata è solida e collaborativa.
Altra questione importante riguarda il pagamento della seduta. Non è raro sentire terapeuti che, a seguito di trasferimenti propri o dei pazienti, continuano la terapia online proponendo una tariffa scontata. Poiché in un’ottica sistemica ogni azione rappresenta un’importante comunicazione, farsi pagare una seduta in presenza più di una seduta online definisce in partenza un setting squalificato. Al paziente arriva il messaggio che i 45 o 60 minuti online non hanno lo stesso valore dei 45 o 60 minuti in presenza: da quel momento il lavoro terapeutico online sarà un lavoro “di serie B”. Può capitare che i terapeuti sentano una difficoltà, credendo veramente di essere incapaci di offrire lo stesso tipo di relazione online e in presenza. Peggio ancora se ritengono che una seduta online richieda meno impegno, attenzione e coinvolgimento di una nel loro studio… Per questo è fondamentale chiarire prima a se stessi l’opportunità di iniziare un tipo di percorso del genere, preferendo magari la chiusura della terapia e un eventuale invio ad altri piuttosto che un’autosvalutazione sia economica sia di contenuti.
L’appuntamento online va preso, come quello in presenza, alla fine dell’appuntamento precedente, valutando però alcuni aspetti fondamentali: il fuso orario e la necessità che sia il paziente sia il terapeuta si trovino in una stanza senza aver vicino orecchi indiscreti. Anche quando la seduta avviene, come oggi possibile e sempre più frequente, non attraverso lo schermo di un computer ma di un telefono cellulare o un tablet, occorre che il terapeuta non si faccia prendere dall’improvvisazione riguardo al luogo da cui svolgere l’incontro: non è opportuno impiegare Facetime per fare una seduta dalla spiaggia, anche se non ci si fa vedere in costume l’incontro viene squalificato a qualcosa che si può ridurre ad un ritaglio di tempo nella propria vita altrimenti impegnata. Una certa formalità e cerimonialità deve sostituire nel setting la riservatezza offerta dalla stanza chiusa, sempre uguale, delle sedute in presenza.
Un esempio di terapia in collegamento video
Niccolò, 33 anni, un bel ragazzo vestito alla moda giovane, informale ma griffata, si presenta allo studio inviato dalla madre per forte ansia con aspetti depressivi, senso di precarietà e soprattutto difficoltà a prendere decisioni che invece il suo lavoro gli richiederebbe pronte e determinate. Infatti, nato in un quartiere popolare e cresciuto per strada dopo il divorzio dei genitori a 6 anni, ha svolto ogni genere di attività (cameriere, commesso, fattorino, animatore…) fino a scoprire la sua vocazione: è diventato organizzatore di iniziative turistiche, feste e party estivi, serate in spiaggia, barca e discoteca, che vende a privati e a grosse agenzie turistiche. Scopertosi abile venditore in questo ramo di “holiday entertainment” dopo essersi fatto le ossa per anni come animatore, è diventato in poco tempo un vero manager, capace di fondare una propria società e di presentare i suoi prodotti con fantastici video meticolosamente realizzati: fa notare con fierezza come diversamente da tanti compagni di infanzia dei quartieri popolari, finiti male tra carcere e droga, lui si è saputo trasformare in un vero imprenditore di successo, insidiato solo da occasionali e incomprensibili momenti di insicurezza e ansia. Mentre la madre abita a Bologna in una casa che le ha comprato, lui passa la maggior parte del suo tempo su un’isola greca, dove ha aperto di recente una nuova sede della sua ditta, originariamente e tuttora attiva in Croazia. Convive con una ragazza di cui stima molto le capacità umane e professionali, che è anche la sua principale assistente e collaboratrice e che ha avuto una preziosa formazione da amministratrice: naturalmente la vita che Niccolò conduce, fondata in stagione su orari notturni, feste e danze fino all’alba crea ogni tanto problemi in una relazione molto affettuosa e collaborativa ma che stenta a consolidarsi.
Indagando sull’apertura della nuova sede e sull’inizio delle manifestazioni sintomatiche, emerge che in Croazia un concorrente molto ricco e potente lo aveva messo alle strette per fargli cedere le sue attività, e che questo gli aveva fatto scegliere di ridurle spostando le sue risorse in un altro luogo, dove la concorrenza era minore: non è bastato tuttavia a cancellare la sensazione di precarietà che lo aveva invaso, anzi, si è sviluppato il timore che il concorrente lo perseguiti anche nella nuova sede.
Dopo le prime sedute, in cui è possibile identificare la paura di tornare da astro nascente dell’imprenditoria turistica ad essere il ragazzo dei quartieri poveri e impostare un lavoro di ricostruzione di autostima e di sostegno psicologico, Niccolò deve tornare nell’isola greca: da allora solo occasionalmente sarà possibile vederlo allo studio del professionista. Vengono perciò concordati incontri via Skype prima e Facetime più avanti, della durata di circa 40 minuti, a cadenza prima quindicinale e poi mensile.
Durante il primo di questi incontri, il terapeuta viene ripreso a casa sua con lo sfondo di un muro dove è esposto solo il poster di un congresso, un’altra copia del quale è allo studio professionale: l’abbigliamento è da lavoro, con giacca e cravatta. Niccolò invece si mostra con la barba lunga, al tavolo di cucina, con mobili sciupati degli anni ’70, uno scolapiatti alle spalle e una maglietta sdrucita addosso. Il terapeuta interviene su questa profonda differenza dall’apparenza abituale di giovane imprenditore rampante: scopre che i mobili sono quelli della vecchia cucina della casa popolare che lui si è fatto dare dalla madre e ha trasferito sull’isola. Niccolò può essere condotto ad ammettere così di aver paura del fallimento che lo rinvierebbe come disoccupato nei quartieri poveri, ma anche di un successo che lo allontanerebbe da un ambiente che comunque sente ancora il suo e probabilmente dalla madre con cui vi è cresciuto. Vive costantemente una scissione tra il terrore di tornare indietro e il timore di andare troppo avanti, e ne allontana da sé la coscienza attribuendone la causa ai problemi con la concorrenza e alla persecuzione del rivale. Al tempo stesso questa persistente insicurezza con le sue ricadute sintomatiche rappresenta una giustificazione per non procedere nello svincolo e nella costituzione di una famiglia propria: infatti alterna la convivenza con la ragazza sull’isola con periodiche rotture e viaggi da solo o rientri a Bologna dalla madre.
La terapia è proseguita con ottimo successo, con una proporzione di due o tre incontri online per ognuno di persona. Il ricorso alla videochiamata ha consentito a Niccolò di mostrare rapidamente la faccia nascosta di se stesso e al terapeuta di intervenire presto su un problema di personalità, la difficoltà a finire di crescere di un giovane dotato ma condizionato da vecchie paure di perdita economica ed affettiva.
IL TERAPEUTA E I SOCIAL NETWORK
Sappiamo che, almeno sul piano non virtuale, quella del terapeuta è una professione che comporta significativi condizionamenti sociali: per esempio, non è raccomandabile collegarsi via Facebook o Instagram con i pazienti, ed è meglio che il profilo social mantenga un’alta credibilità e un elevato livello di privacy. Potete immaginare la reazione dei vostri pazienti trovando online una vostra foto in due pezzi, o coinvolti in una scatenata festa all’epoca del liceo? Oggi, però, resta sempre più difficile rimanere fuori dal mondo online, soprattutto ora che i social network sono entrati con prepotenza a far parte della vita di ciascuno di noi.
Con l’espressione “social network” si identificano tutti i software utili alla realizzazione di reti sociali virtuali, cioè ambienti che consentono agli utenti di condividere contenuti testuali, immagini, video e audio e di interagire tra loro. Generalmente i social network prevedono una registrazione mediante la creazione di un profilo personale protetto da password e la possibilità di effettuare ricerche nel database della struttura informatica per localizzare altri utenti e organizzarli in gruppi e liste di contatti. Le informazioni condivise variano da servizio a servizio e possono includere dati personali, sensibili (credo religioso, opinioni politiche, inclinazioni sessuali, ecc.) e professionali. 
I social sono luoghi non solo di fruizione, ma anche di creazione di contenuti. In questo senso, la rete diventa un ambiente interattivo tramite cui diffondere pensieri, idee, link e contenuti multimediali.
Proprio la diffusione dei social network ha delineato quella che alcuni sociologi [3] hanno definito l’era del network person-to-person: gli scambi sociali infatti, più che avvenire all’interno di sistemi predeterminati come la famiglia, i gruppi, il vicinato, vengono intensamente vissuti con singoli soggetti che entrano a far parte della rete dell’individuo.
Ma come gestire la nostra identità online senza avere ripercussioni sulla relazione offline, quella nel setting terapeutico?
Per quanto riguarda i social professionali, ad esempio Linkedin oppure ES (l’interessante esperimento della cassa di previdenza degli psicologi italiani che dal 2016 mette in rete tutti gli iscritti ENPAP per creare un luogo di scambio di informazioni, esperienze, conoscenze), il professionista è aiutato nella compilazione del proprio profilo. Inserendo solamente le esperienze professionali, questi social diventano strumenti fondamentali per raccogliere in un unico luogo le informazioni che desideriamo diffondere su di noi; oltre ai blog o ai siti personali, permettono ai professionisti di avere il controllo delle informazioni che circolano su di loro in rete e di gestire la loro identità online, nell’intento di controllare eventuali informazioni che potrebbero divenire scomode o sconvenienti. Uno degli autori di questo articolo, ad esempio, ha un’omonima coetanea che fa la cantante professionista, con una nutrita pagina YouTube. La scoperta dell’esistenza di questa omonima artista è avvenuta durante le prime sedute con un paziente appassionato di karaoke. Era capitato infatti che la terapeuta raccogliesse battute e ammicchi sul tema del canto (una sorta di “noi ci capiamo bene dottoressa!”) senza ben comprenderli, fino a che, dopo averlo esplicitato alla fine della seconda seduta, il paziente raccontò di aver cercato online il nome della terapeuta incontrando la cantante e dando per scontato che fossero la stessa persona (in giacca e capelli castani di giorno e paillette e caschetto rosa di notte). Tanto era il bisogno del paziente di essere accolto e compreso che ancor prima di iniziare le sedute già aveva colto aspetti di profonda somiglianza con la terapeuta!
Crediamo per questo che sia importante essere presenti ed avere un luogo virtuale (pagina Facebook, blog, sito web o profilo di Linkedin) dove il terapeuta stesso possa avere il controllo delle informazioni inserite e quindi della loro diffusione all’esterno.
Rispetto ai social tipo Facebook, avere una pagina pubblica per un terapeuta può essere un modo di ottenere visibilità, a patto però di essere in grado di veicolare contenuti significativi. La maggior parte delle pagine dei terapeuti infatti si limita a diffondere frasi standard più vicine ai luoghi comuni che ad aspetti inerenti la professione. “L’essenziale è invisibile agli occhi”, ad esempio, è una delle frasi-tipo dei profili degli psicoterapeuti, ed in effetti per le citazioni Il Piccolo Principe [18] va per la maggiore.
Per quanto riguarda la gestione del profilo privato, questo può non comportare grossi problemi ai terapeuti se il livello della privacy viene mantenuto alto, anche se fare attenzione alla foto del profilo può essere comunque una buona norma. 
Altro problema rilevante è la rete di “amici” sui social. È infatti altamente probabile che, una volta ricevuto il vostro nome, i pazienti vi cerchino su Facebook scoprendo connessioni fra la loro rete e la vostra. Niente di diverso da ciò che potrebbe accadere nei rapporti non virtuali, ma in alcuni casi si potrebbero creare situazioni delle quali è necessario discutere in terapia. Un esempio è quello di una nuova paziente che, cercando la terapeuta su Facebook, aveva scoperto la presenza di una amicizia in comune. La persona in questione era però poco gradita dalla paziente, che aveva con lei un grosso problema di tipo economico e lavorativo. In seconda seduta la paziente esplicitò questo fatto: “Se vengo qui devo sapere di poter parlare di quello che mi serve. Il fatto che lei sia amica di X su Facebook mi porta a chiederle se posso parlare qui dei miei grossi problemi con X”. Questa apertura fu un momento importante per la creazione di un’alleanza e del contratto terapeutico.
CONCLUSIONI
La psicoterapia è l’ultima arte magica con la quale gli esseri umani cercano di cambiare se stessi, gli altri e la realtà del mondo impiegando solo la propria persona e la parola; il mondo cibernetico invece può sembrare il trionfo della scienza, in cui ciascuno può trovare da solo in qualche app la soluzione a problemi psicologici e di vita. Si tratta in realtà di una falsa contrapposizione: il fatto che una seduta si svolga in presenza non è garanzia che la magia funzioni, né la disponibilità di qualche migliaio di app “fai-da-te” o “segui-questo-protocollo” può ispirare molta fiducia: se funzionassero bene ce ne sarebbero molte di meno. Piuttosto anche la magia si avvale di strumenti tecnici, bacchette, amuleti, specchi magici, e un progresso nel funzionamento di questi può semplificare il lavoro a maghi e clienti: la tecnologia può aiutare tutti noi a trovare un po’ più di fiducia, anche solo come effetto placebo, quando le difficoltà non sono grandi e basta una parvenza di guida rassicurante ad affrontare gli ostacoli. Crediamo quindi che le nuove tecnologie di comunicazione possano essere affiancate come strumenti integrativi utili agli incontri di psicoterapia in presenza, ma che non siano sufficienti a sostituirli.
Al nostro parere si è convertita anche Sherry Turkle [19] professoressa di Studi Sociali e Tecnologia al MIT, preoccupata per il calo del 40% delle capacità empatiche negli ultimi 30 anni nella popolazione studentesca, rilevato e attribuito allo sviluppo delle nuove tecnologie da una ricerca dell’Università del Michigan [20]. In realtà, sostiene Turkle, gli psicoterapeuti «sono esperti di quel genere di conversazione di cui ha più bisogno la cultura digitale, quel genere in cui diamo all’altro una piena attenzione, il tipo di discorso che è relazionale piuttosto che transattivo» [19]. Non si possono prevedere gli sviluppi rapidissimi della tecnologia intorno al 1920, al tecnico di una casa di pianoforti automatici che vantava la mirabolante capacità dello strumento di registrare su un rullo di carta e poi riprodurre 16 diversi livelli di intensità del suono prodotto dal pianista, il grande concertista Artur Schnabel, rifiutando il contratto, rispose: “Peccato, io ne ho 17”. La varietà di interazione che un essere umano può produrre, nonostante errori o imperfezioni, sarà sempre superiore a programmi e protocolli che limitano l’espressività, nei concerti dal vivo come anche in psicoterapia, e quel margine di qualità relazionale in più offerto dagli incontri faccia a faccia resterà sempre un passo oltre le possibilità di una riproduzione programmata.
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