La relazione che cura e l’unità della psicoterapia

Francesco Bruni1

1Psicologo e psicoterapeuta, didatta CSTFR, direttore Istituto Emmeci Torino, docente a contratto di Psicologia Clinica, Università del Piemonte Orientale.

In questo numero riportiamo alcuni interventi presentati al Congresso del Centro Studi di Terapia Familiare e Relazionale che si è svolto a Torino il 25 e 26 ottobre 2019 sulla relazione che cura e l’unità della psicoterapia. Argomento sul quale si è sempre dialogato nel Centro Studi, fin dalla sua nascita negli anni Settanta, stimolati dall’impegno e dalle riflessioni di Luigi Cancrini[1,2] verso l’integrazione del modello relazionale, le cui radici affondano nella storia della psicoanalisi (Freud, Klein, Sullivan, Winnicott, Bowlby), con il modello sistemico, che si stava affermando in Italia. Il dibattito che ne è scaturito è stato, in un primo tempo, caratterizzato da incomprensioni che nel corso degli anni si sono attenuate, portando a molte esperienze significative che hanno arricchito il sapere e la cultura psicoterapeutica verso una posizione complementare fra intrapsichico e relazionale. Sotto la spinta dei contributi di Luigi Cancrini e di altri protagonisti si è cercato di tenere insieme il discorso sul dinamismo psichico, sul sapere psicodinamico con la pragmatica comunicazionale e con l’attenzione alla vita relazionale di chi chiede aiuto, tenendo insieme esperienze relazionali e mondo interno. In questo quadro l’approdo alla terapia familiare è stato riletto come tappa cruciale dell’evoluzione della psicoterapia che condensa il sapere clinico accumulatosi in più di cento anni di storia.
Ragionare sulla psicoterapia come corpus unitario, come facciamo in questo numero, vuol dire considerare la pluralità degli approcci clinici che fanno riferimento a diverse teorie costituendo l’arcipelago della relazione che cura. Dove le differenze tra gli orientamenti restano, in molti casi, più sul piano nominalistico che dei principi comuni: dalla formazione personale degli psicoterapeuti alla relazione terapeuta-paziente; dall’integrazione tra mondo interno e mondo esterno, all’attenzione al qui e ora della vita familiare e alla ricostruzione della storia della sofferenza per la quale si chiede aiuto. Temi che portano a una visione unitaria e a considerare il modo più appropriato per accogliere la richiesta di benessere psicologico che proviene dalla comunità sociale. L’emergenza dovuta al coronavirus, che nel momento in cui scriviamo non è ancora superata, complica il panorama delle richieste di aiuto per le conseguenze sui rapporti interpersonali e sul piano sanitario, sociale ed economico. In questo nuovo quadro, le richieste che più frequentemente si presentano in psicoterapia assumono una nuova luce: dalla cura delle infanzie infelici alle crisi familiari, dalle forme di dipendenza alla elaborazione delle esperienze traumatiche, dal ritiro sociale al sostegno alle famiglie adottive, dalle difficoltà nello svincolo alle crisi dei giovani adulti. Questi e altri problemi investono i servizi sanitari e la comunità dei curanti nel rispondere alle esigenze di benessere della popolazione.
A Torino si è parlato della relazione terapeutica analizzando il rapporto terapeuta-paziente. Nel senso che insieme realizzano un ambiente relazionale dinamico che sostiene il processo di autoguarigione. Processo che risente dell’influenza esercitata dalle relazioni umane depositate nella memoria implicita che si riverberano, in modo significativo, nelle relazioni agite e di conseguenza nella relazione terapeutica, come punto di convergenza comune fra gli orientamenti in psicoterapia. Punto di convergenza che trova un principio unitario nella relazione di attaccamento [3]. Riconoscere l’altro nella sua essenzialità e differenza, all’interno della relazione di attaccamento, permette di organizzare l’esperienza soggettiva e integrare l’amore che costituisce il movimento e la vita con le esperienze traumatiche vissute che altrimenti porterebbero al caos e alla confusione.
La matrice relazionale in psicoterapia non si limita alla relazione terapeuta-paziente ma investe la vita relazionale del paziente. Come nella terapia con la famiglia dove si lavora sul qui e ora delle relazioni esperite e sulla storia transgenerazionale della sofferenza avviando, per questa via, un processo trasformativo. Invece, quando si lavora con i pazienti individualmente, questi processi sono meno diretti. In sostanza occorre continuamente integrare la dimensione sincronica, nel qui e ora della vita relazionale, con quella diacronica legata alla storia relazionale della sofferenza, tenendo insieme lettura psicodinamica e lettura relazionale sistemica.
Il riferimento alla pragmatica della comunicazione ci fa considerare gli effetti delle esperienze relazionali e riporta le difficoltà di chi sta male ai rapporti interpersonali, alle esperienze con i membri della famiglia e con gli attori significativi del contesto dove si vive. Il livello pragmatico viene integrato con il significato della comunicazione e la sua semantica di cui è ricca la storia della psicoterapia come lavoro centrato sulle esperienze individuali. Oggi, questi due discorsi, dopo le inevitabili incomprensioni del primo periodo, risultano complementari e si arricchiscono reciprocamente. Essi sono necessari per una corretta impostazione del lavoro terapeutico, dalla dimensione personale del terapeuta alla dimensione sistemica dell’interazione che si stabilisce fra il terapeuta, il paziente designato e la sua famiglia o, in un’altra sede, fra terapeuta, supervisore e gruppo o contesto di supervisione.
Nel congresso ci si è soffermati sul contributo dell’orientamento relazionale e sistemico sottolineando l’importanza della diagnosi relazionale e dell’attenzione agli elementi contestuali, poiché i comportamenti, anche quelli sintomatici, acquisiscono rilevanza in base alle circostanze relazionali dove si verificano. Circostanze che sono sempre lette da un osservatore che occorre sempre inserire nell’osservazione stessa. La psicoterapia richiede abilità e competenze diverse e si presenta con una dimensione pluralistica e multidimensionale, focalizzata sulla relazione e l’utilizzo del Sé del terapeuta, per leggere la realtà in maniera complessa e antiriduzionista. Tuttavia, lo scambio e l’integrazione fra i diversi modelli arricchisce la pratica clinica e permette il dialogo fra operatori che si occupano a diverso livello della stessa situazione di cura.
Le nuove generazioni di terapeuti familiari sono più attente al dinamismo psichico, che sta sotto la manifestazione del sintomo, insieme alle riflessioni sistemiche sull’interdipendenza dei comportamenti. La loro formazione, come avviene nel Centro Studi di Terapia Familiare e Relazionale, poggia su tali premesse e costituisce un percorso verso la maturazione personale dell’allievo. Il quale deve conoscere, interagendo con chi gli chiede aiuto, i modi consapevoli e impliciti con i quali si mette in relazione e lo influenza, entrando così a contatto con la complessità del suo apparato psichico, con i propri meccanismi di difesa e il proprio equilibrio psichico e con le esperienze che tengono insieme questo tipo di organizzazione. Si tratta di un lavoro personale che permette di formulare ipotesi sul dinamismo specifico della famiglia e di elaborare strategie di intervento che possono sbloccare le relazioni interpersonali rigide collegate alle difficoltà psicopatologiche per cui si chiede aiuto.
A conferma di tutto questo, nel Congresso di Torino, sono state presentate diverse esperienze cliniche di terapie individuali, di coppia e familiari realizzate nelle sedi del Centro Studi nell’ambito del percorso formativo, che hanno visto la partecipazione di allievi e didatti, insieme ad altre presentate da colleghi che operano nei vari servizi clinici del territorio. Esperienze che offrono un quadro articolato e ricco di riflessioni come confronto fra psicoterapeuti di più generazioni. Si è data voce a molti giovani psicoterapeuti che con passione e competenza hanno portato energie fresche operando nei diversi contesti in cui viene formulata la domanda di aiuto muovendosi con flessibilità e buona formazione personale e clinica [4].
I contributi presentati in questo numero di Ecologia della Mente offrono un quadro articolato del dibattito in corso sull’unità della psicoterapia e sulle esperienze cliniche nel Centro Studi di Terapia Familiare e Relazionale. Agli interventi qui pubblicati, va aggiunto quello di Gianni Costanzo [5], riportato nel precedente numero della rivista, che ripercorre la nascita del gruppo di psicoterapeuti che ha fondato l’Istituto Emmeci.
Le riflessioni con le quali Luigi Cancrini ha concluso il Congresso di Torino sono di buon auspicio per tutti noi:
«Il Centro Studi è un insieme di idee che si muovono fra cura e politica a cui tante persone hanno dato corpo. Sono idee che non muoiono. E il piccolo tesoro che è stato espresso nei due giorni di Congresso ne è una straordinaria testimonianza. Il livello degli interventi nelle sessioni parallele è stato molto alto. Abbiamo molti allievi i quali mostrano una buona formazione. Costituiscono un movimento che è una cosa viva, abbastanza giovane per essere un’organizzazione che coltiva un insieme di idee. Il cui nucleo fondante è cura e politica, che si sono concretizzate nelle attività formative messe in piedi.
Siamo un gruppo di persone che ha proposto l’idea che la psicoterapia ha una matrice ecologica e contestuale come valore per migliorare il livello dell’assistenza per chi sta male e di convivenza democratica per chi sta bene. È questo il senso dell’operazione che abbiamo fatto a partire dal ’72 di una missione rivoluzionaria dal punto di vista culturale il cui frutto sono gli allievi che abbiamo oggi. Di questa operazione dobbiamo mantenere le finalità e i punti di forza. Vedo il Centro Studi come i conventi del medioevo che tramandavano scrivendo le cose che sono state fatte e le cose belle che poi sono rimaste. Trasmettiamo cultura democratica e di pace che crede nell’essere umano e nelle sue potenzialità di miglioramento e di star bene e far stare bene. Non dobbiamo avere il pensiero che tutto questo possa finire, ma che possiamo continuare a vivere nel miglior modo possibile».
BIBLIOGRAFIA
1. Cancrini L. Guida alla psicoterapia. Roma: Editori Riuniti, 1982.
2. Cancrini L (1987). La psicoterapia: grammatica e sintassi. Manuale per l’insegnamento della psicoterapia. Roma: Carocci Editore, 2002.
3. Onnis L (a cura di). Legami che creano, legami che curano. Attaccamento: una teoria ponte per le psicoterapie. Torino: Bollati Boringhieri, 2010.
4. Bruni F. Dialogo sull’unità della psicoterapia. La notte stellata n. 2020; 1: 133-52.
5. Costanzo G. La Terapia Familiare in Piemonte. Ecologia della Mente 2019; 42: 226-9.