Il relazionale in psicoterapia

Francesco Bruni1

1Psicologo e psicoterapeuta, didatta CSTFR, Direttore Istituto Emmeci Torino, docente a contratto di Psicologia Clinica, Università del Piemonte Orientale.

Riassunto. L’impostazione relazionale che accompagna il passaggio dalla psicoanalisi alla terapia familiare è il tema al centro della visione unitaria della psicoterapia. L’articolo si sofferma sulla relazione terapeuta paziente, come co-costruzione che favorisce il processo di cambiamento. In questo quadro vengono sottolineate le continue integrazioni che sono necessarie nel lavoro terapeutico fra la dimensione intrapsichica, con la focalizzazione sul passato relazionale, e la dimensione interpersonale nel qui e ora delle esperienze di vita.

Parole chiave. Dinamismo psichico, processi intrapsichici; pragmatica della comunicazione, gioco relazionale.

Summary. The relation in psychotherapy.
The relational setting that goes with the passage from psychoanalysis to family therapy is the main theme at the center of the unitary vision of psychotherapy. The article focuses on the therapist-patient relation as a co-construction which promotes the process of changing. In this framework are underlined the continuous integrations which are necessaries in the therapeutic work between the intrapsychic dimension, with a focus on the relational past, and the interpersonal dimension in the here and now of life experiences..

Key words. Psychich dynamism, intrapsychic processes, pragmatic of comunication, relational game.

Resumen. Lo relacional en psicoterapia.
El autor describe la evolución de la practica relacional en psicoterapia, en el pasaje de la psicoanálisis hacia la terapia familiar dentro de una visión unitaria, en la cual se examina la relación terapeuta-paciente, como una co-construcción que favorece el proceso de cambio. Vienen además destacadas las constantes integraciones necesarias en el trabajo terapéutico entre dimensión intrapsíquica, con enfoque en el pasado relacional, y la dimensión interpersonal en el aquí y ahora de las experiencias relacionales.

Palabras clave. Dinamismo psíquico, proceso intrapsíquico, pragmática de la comunicación, juego relacional.

«Viviamo circondati dalle intenzioni, dai sentimenti e dai pensieri degli altri,
che interagiscono con i nostri, al punto che la differenza tra ciò che è nostro e
ciò che appartiene agli altri non sempre è così netta».
Daniel N. Stern, 2004


Il campo delle relazioni di aiuto è ampio e articolato e rientra nelle prerogative della comunità sociale per quanto concerne l’impegno nel coltivare valori democratici, promuovere la convivenza pacifica e favorire il benessere. A questo impegno contribuisce ogni essere umano che cerca di star bene e fare stare bene gli altri. È una cornice ideale, che occorre far diventare realtà concreta, nella quale si collocano la psicoterapia e la sua pratica ricca di percorsi umani e professionali che superano il secolo di vita. La psicoterapia ha il compito di ridurre la sofferenza di chi sta male, migliorare i rapporti interpersonali e contribuire a un maggiore livello di assistenza e di convivenza democratica. In tal senso il lavoro clinico va oltre la stanza in cui si svolge la relazione di aiuto e investe la società e i suoi valori.
In psicoterapia si vive un’esperienza relazionale volta a modificare i presupposti che hanno reso necessario quell’incontro. Questo richiede un’impegnativa formazione personale, una buona relazione con chi chiede aiuto, valide teorie di riferimento e un metodo clinico adeguato. L’ambiente relazionale che si co-costruisce, nel percorso trasformativo, ha come protagonista la relazione tra terapeuta e paziente. Pensiamo a un ambiente accogliente e sicuro che sollecita azioni autocurative e attiva cambiamenti nella vita di chi chiede aiuto. È un incontro che fa emergere significati affettivi e cognitivi che creano l’ambiente adatto, come i continui intrecci emotivi, cognitivi e comportamentali e i processi di decostruzione e ricostruzione di senso che l’esperienza clinica comporta per chi chiede aiuto e per chi lo offre. In tal senso si può parlare di “relazione che cura”.
Nella storia della psicoterapia questo discorso ha avuto un’evoluzione, dalla psicoanalisi classica affermatasi nella prima metà del Novecento, alla terapia familiare e alle altre forme di psicoterapia con trattamento breve che sono nate successivamente portando a una varietà di proposte terapeutiche, con il rischio di parcellizzare gli interventi in una miriade di percorsi e di proposte di cura.
Riprendere oggi il tema dell’impostazione relazionale e dell’unità della psicoterapia ci porta a ripercorre le radici del Centro Studi di Terapia Familiare e Relazionale fondato da Luigi Cancrini nel 1972, con l’idea che la psicoterapia ha una matrice ecologica e contestuale che integra processi intrapsichici e interpersonali, con un’impronta che tiene insieme cura e politica. Cura nel ridurre la sofferenza psichica e nel contribuire al miglioramento della vita nella comunità sociale, tramite l’impegno politico e l’attenzione al sociale. Strade che ci fanno incontrare uno scenario pluralista e multidimensionale, senza negare le differenze, senza annullare le diverse ragioni e storie che hanno portato a teorie e approcci diversi sulla psicoterapia e sulla sua pratica. Ci riferiamo ai saperi che confluiscono in un’idea unitaria cogliendo le diverse letture della relazione verso una visione complessa della psicoterapia che sia in grado di rispondere alla richiesta di benessere psicologico degli individui e della comunità sociale.
La crisi economica e sociale che stiamo attraversando, alla quale si aggiunge l’emergenza dovuta all’epidemia da coronavirus, con effetti che non riusciamo ancora a definire pienamente sulla salute della popolazione, sulle relazioni interpersonali e per le forti ricadute economiche e sociali, avrà conseguenze anche psicologiche, peggiorando le condizioni di benessere e portando a un aumento delle richieste di aiuto. Queste richieste, in assenza di spazi adeguati nei servizi pubblici, si rivolgono a un mercato privato al quale non tutti potranno accedere. Tuttavia, la psicoterapia fa parte dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), e i cittadini hanno diritto a questo tipo di cura, diritto non sempre praticato per le poche possibilità offerte dai presidi sanitari. Di fatto, la psicoterapia resta una cura a pagamento, preclusa alle persone meno abbienti. La difficoltà di accesso alle cure rientra nel discorso sull’unità della psicoterapia, per le ricadute nella pratica clinica e nella formazione degli psicoterapeuti e nell’organizzazione dei servizi. Occorre formare psicoterapeuti che sappiano bene affrontare il disagio psichico e relazionale, migliorare le prestazioni e contenerne i costi. Inoltre, bisogna impegnarsi nell’aumentare i posti nel servizio pubblico, o in convenzione.
DALL’INTRAPSICHICO ALL’INTERPERSONALE
Nel ripercorrere alcuni momenti salienti della storia della psicoterapia, dobbiamo riconoscere a Freud la scoperta del dinamismo psichico e dell’impostazione pulsionale che ha dato vita alla teoria e alla pratica psicoanalitica, ponendo le basi che porteranno successivamente all’impostazione relazionale. Nel corso del Novecento alcuni di questi concetti sono stati messi in discussione e trasformati. Il terapeuta è così passato dall’essere neutrale e arbitro della realtà a porsi come guida e compagno di viaggio del paziente [1]. Il dibattito che è sorto sui processi intrapsichici, sulla teoria delle relazioni oggettuali e la psicologia del Sé si è esteso dalla psicoanalisi alle altre forme di psicoterapia che si sono successivamente affermate e in particolare ha investito l’approccio sistemico e relazionale. Harry Stack Sullivan [2] ha avuto il merito di portare un notevole contributo verso un’impostazione relazionale, ci ha invitato a vedere la psicopatologia emergere dal campo delle relazioni interpersonali e a connettere l’individuo al contesto dei rapporti interpersonali. Sullivan ha posto le premesse per considerare le relazioni con gli altri al centro della teoria e del discorso motivazionale, comprendendo gli impulsi sessuali e aggressivi, come processi che tendono alla ricerca e al mantenimento delle relazioni stesse (per ulteriori approfondimenti si vedano: Greenberg, Mitchell [3]; Mitchell [4,5]).
Molti autori hanno contribuito a tale rinnovamento in chiave relazionale. Una spinta rilevante viene dalle ricerche nel campo delle neuroscienze, che sottolineano il costante collegamento tra esperienze di vita e processi mentali. Fra i tanti lavori citiamo il contributo di Edelman [6] sul funzionamento della mente e su come conosciamo il mondo; gli studi di Damasio [7] sulle funzioni emotive e sull’intreccio con l’agire razionale e la coscienza; le ricerche di LeDoux [8] sui processi emotivi e sulla loro funzione adattiva; il contributo di Kandel [9] al funzionamento della memoria; la scoperta dei neuroni specchio che ci fa comprendere il modo come riusciamo ad afferrare il significato delle azioni degli altri [10]. Per quanto concerne i contributi che hanno portato a una svolta relazionale in psicoterapia possiamo citare: gli studi sulla prima infanzia di Melanie Klein; la ricerca e la descrizione della nascita psicologica del bambino di Margaret Mahler; la teoria dell’attaccamento di John Bowlby e le ricerche sul legame madre-bambino e sulle separazioni genitori-figli; l’opera di Donald W. Winnicott sull’origine della soggettività e sull’ambiente relazionale che sostiene la coppia madre-bambino; le osservazioni sul bambino e sulle interazioni con la madre, da parte di Daniel N. Stern, che ci portano all’emergere del Sé come processo di autoriflessione in un campo relazionale; lo studio di Heinz Kohut sul narcisismo e lo sviluppo del Sé; l’integrazione fra mondo interno e realtà esterna di cui parla Otto F. Kernberg nel trattamento dei disturbi gravi di personalità; la ricerca di Lorna S. Benjamin sull’origine del disturbo di personalità negli schemi di comportamento appresi durante i primi anni di vita dai genitori e dalle altre figure di attaccamento, il lavoro di Luigi Cancrini sull’oceano borderline e la cura dell’infanzia infelice.
La terapia familiare che nasce negli anni Cinquanta si articolerà in esperienze cliniche e ricerche che tracciano un ulteriore passaggio verso un’impostazione decisamente relazionale in psicoterapia. Pensiamo al manuale che approfondisce la comunicazione interpersonale di Paul Watzlawick, Janet Helmick Beaven e Don D. Jackson [11] come punto di riferimento del paradigma relazionale sistemico. Il testo è una sintesi dei lavori del Mental Research Institute di Palo Alto avviati da Gregory Bateson negli anni Cinquanta, e diventa ben presto un punto di riferimento per lo studio della pragmatica della comunicazione nelle interazioni umane e uno dei principali manuali della formazione sistemica. Le tesi proposte nel manuale sono basate sulla pragmatica relazionale. Nel senso che il comportamento patologico è visto come relazione patologica tra gli individui, dovuta a interazioni comunicative inadeguate che causano sofferenza. Inoltre si sottolinea che il sintomo, come ogni altro comportamento, va compreso nel contesto relazionale dove si presenta.
Questa svolta verrà ripresa da Mara Selvini Palazzoli [12], nell’introduzione alla nuova edizione del libro sull’anoressia mentale che ripubblica in chiave sistemica. Scrive Mara Selvini: «Nel 1967 ho affrontato l’avventura del salto concettuale da un modello basato sull’energia a un modello basato sull’informazione, e di conseguenza sul meccanismo di retroazione» [12, p.13] segnando così il passaggio dal paradigma psicodinamico a quello sistemico. Questa nuova impostazione porta a privilegiare modelli interpretativi attenti al qui e ora delle relazioni agite. Focalizzandosi sullo scenario nel quale il sintomo viene letto come manifestazione dell’adattamento di un individuo a un sistema familiare disfunzionale. Seguendo questa lettura, la famiglia è considerata come un tutt’uno, nella sua globalità olistica, un unico organismo dove emergono la particolarità della comunicazione, le regole, i miti [13]. Di conseguenza perde interesse l’attenzione all’individuo e viene posto in primo piano il gioco relazionale. Nella prima fase della storia della terapia familiare, il nuovo movimento si afferma proponendo una propria ortodossia alternativa alla psicoanalisi, con uno sbilanciamento in chiave interpersonale trascurando la dimensione intrapsichica. Si privilegia così un’impostazione pragmatica della psicoterapia, attenta al qui e ora delle relazioni esperite nel sistema interpersonale. Successivamente, a partire dalla seconda parte degli anni Ottanta, si va verso il recupero della dimensione individuale, con una nuova attenzione alla componente soggettiva legata a una lettura sistemica all’interno del paradigma della complessità, integrando presente e passato, intrapsichico e interpersonale.
Nel movimento sistemico relazionale molti autori hanno contribuito a tenere vivo questo dibattito con contributi che hanno caratterizzato l’evoluzione della psicoterapia: da Murray Bowen [14] con l’attenzione ai processi di differenziazione degli individui all’interno di una storia familiare trigenerazionale, a Ivan Boszormenyi-Nagy [15], che considera l’individuo non separabile dalla rete di interazioni che coinvolgono tutti i componenti la famiglia, alla quale si trova legato da un vincolo di lealtà; da Jay Haley [16], che riprendendo il lavoro clinico di Milton Erickson ci invita a considerare l’insieme dei rapporti dove la persona vive, come unità di trattamento per favorire il cambiamento che riguarda l’individuo e il suo contesto relazionale, a Salvador Minuchin [17] attento alla rete dei rapporti nella famiglia per superare la cristallizzazione dei ruoli fonte di patologie e costruire una mappa in continuo divenire; da Mara Selvini Palazzoli [18,19], che propone una filosofia relazionale rivalutando la dimensione individuale nella trama delle relazioni familiari in chiave trigenerazionale, a Luigi Cancrini [20], che integra processi intrapsichici e pragmatica relazionale, con un’attenzione alle interazioni umane dove si manifesta la sofferenza, alla sua origine e alle reazioni controtransferali; da Philippé Caillé [21], che ci guida alla cura dello spazio di incontro tra chi chiede aiuto e il terapeuta ricorrendo a metodi analogici, a Luigi Onnis [22], che sottolinea l’integrazione della dimensione intrapsichica nello scenario delle relazioni familiari.
VERSO UN’IMPOSTAZIONE UNITARIA
Il dibattito che stiamo descrivendo riguarda la ricerca di un equilibrio tra il mondo interiore e le esperienze interpersonali. Nel senso che il mondo interiore si è formato nel passato e consolidato nel tempo proiettando un’ombra sul presente e sul qui e ora delle relazioni interpersonali. Molti autori guardano al presente andando alla ricerca di relazioni umane spontanee e autentiche, senza considerare quello che Bromberg [23] dice a proposito della metafora dell’ombra dello tsunami riferita alle esperienze traumatiche. Ovvero, quando il trauma colpisce precocemente senza permettere di elaborarne gli effetti, all’interno delle relazioni primarie la sua ombra si estende sul qui e ora, impedendo di regolare gli affetti nella trama dei rapporti interpersonali e minando l’autenticità di tali rapporti. In queste circostanze la cura avviene tramite la relazione terapeutica che progressivamente riduce le fragilità intrapsichiche e contribuisce alla crescita della mente relazionale come molteplicità del Sé. Relazione terapeutica che è sempre fondamentale anche nell’approccio sistemico relazionale, quando essa si integra con un attento lavoro rivolto alle altre esperienze relazioni, per favorire un cambiamento positivo delle interazioni con gli altri e una ristrutturazione dell’immagine del Sé, tramite processi di riparazione, in chiave sincronica e diacronica, nel contesto interpersonale di vita.
Il termine “relazionale”, proposto da Jay Greenberg e Stephen Mitchell [3] si riferisce al ponte fra le relazioni oggettuali interne e le esperienze interpersonali, privilegiando la descrizione della mente come mappa di queste configurazioni. Concetto che fa riferimento al legame fra le relazioni interne ed esterne, ovvero l’organizzazione intrapsichica e l’organizzazione interpersonale. Nel senso che l’intrapsichico non può che essere riconosciuto nella realtà dell’esperienza relazionale, in particolare nell’esperienza della relazione terapeuta e paziente, o in altre esperienze interpersonali, diventando un fenomeno riflessivo e vivo, come rapporto fra quello che accade tra le persone e quello che avviene nella mente. L’essere umano con al centro della sua vita mentale i legami affettivi che caratterizzano i suoi rapporti interpersonali, così come viene descritto nelle relazioni oggettuali, si trova immerso in una matrice relazionale.
L’emergere delle situazioni problematiche riguarda, quindi, il rapporto tra passato intrapsichico e presente interpersonale. Le ferite emotive, le paure e le carenze che possono avere caratterizzato l’infanzia del paziente, se non vengono superate con esperienze relazionali curative, nel corso dello sviluppo costituiscono modalità relazionali problematiche che si ripresentano nella vita adulta [4], come bisogni relazionali che connotano tutta la vita dell’individuo. Per questo, la comprensione del passato permette di decifrare come viene affrontato e modellato il presente. Possiamo dire che una condizione relazionale problematica, una sofferenza, per la quale si chiede aiuto ha una storia che va raccontata, ascoltata e conosciuta per comprenderne il dinamismo psichico. Allo stesso modo le esperienze interpersonali positive hanno una ricaduta che arricchisce i processi intrapsichici.
L’interazione terapeuta paziente è ciò che definiamo relazione terapeutica. Essa va continuamente monitorata dal terapeuta, sintonizzandosi con il paziente, ricorrendo alla propria sensibilità riflessiva sui propri vissuti e su quelli del paziente per cogliere il contributo dell’esperienza interpersonale, nel qui e ora della relazione stessa. La capacità di costruire un’alleanza terapeutica diventa, come ci ricorda Schore [24], una condizione determinante per la riuscita del trattamento che conduce alla regolazione degli affetti e alla riparazione del Sé.
Allo stesso tempo il terapeuta è attento ai processi intrapsichici, riferiti alle esperienze relazionali del passato che si presentano con modalità ripetitive che limitano il gioco relazionale nella situazione presente, comprendendo i vincoli che non permettono al paziente di condurre una vita soddisfacente. Ne scaturisce un processo di decostruzione e ricostruzione congiunta per fare emergere nuove possibilità, dove si confonde cosa appartiene all’uno e cosa appartiene all’altro in una continua commistione tra interno ed esterno. In tal caso, il terapeuta per comprendere il paziente occorre che sia attento ai propri vissuti, alle reazioni controtransferali, domandandosi come si sente con quel paziente e perché riesce o non riesce a stare bene insieme a lui. Si vive un’esperienza relazionale che oscilla fra permeabilità e separazione, fra sé e l’altro, che dà forma al rapporto. Nell’esperienza terapeutica, si genera un modo di stare insieme nel quale convivono, nell’asimmetria relazionale, i bisogni del paziente e quelli dello psicoterapeuta, in un processo che richiede la negoziazione dei sentimenti come ponte tra mondo interno e mondo interpersonale esterno.
Percorrendo questa via, il terapeuta si confronta con il paziente e co-costruisce una relazione significativa, ricercando un canale comunicativo privilegiato e facendo attenzione a come il paziente comunica per poter lavorare su quello che emerge all’interno di questa relazione e su quello che viene riportato delle altre esperienze interpersonali significative. Quando in psicoterapia si incontra una famiglia, ci si confronta con un ambiente relazionale articolato e complesso, dove il paziente vive un disagio che comunica attraverso un comportamento sintomatico. In questa situazione, il terapeuta si interessa al funzionamento del sistema interpersonale nel quale si manifesta la sofferenza. Cerca di conoscerne la storia e di comprendere il senso dei comportamenti di tutti e di quelli sintomatici in riferimento al concreto contesto dove si vive. È attento a tutti i componenti della famiglia senza stabilire un rapporto particolarmente significativo con il paziente, diventando l’interprete delle dinamiche relazionali [25].
Per Cancrini la moderna psicoterapia nasce dalle due strade maestre che si integrano, la psicoanalisi, come radice feconda dell’approccio individuale e del paradigma intrapsichico, e la terapia familiare, con la sua impostazione ecologica rivolta alla cura delle relazioni esperite nel solco del paradigma relazionale e sistemico. Queste due strade si intersecano e costituiscono insieme un sistema complesso che ha il merito di rimettere in moto un processo evolutivo bloccato. Se i terapeuti individuali cercano di favorire il processo di negoziazione dei sentimenti fra intrapsichico e processi interpersonali, i terapeuti sistemici sono di sostegno e di guida per i pazienti, aiutandoli a sfidare le resistenze interne ed esterne e ad affrontare le esperienze relazionali che causano sofferenza. È comune l’idea che il cambiamento richieda la riorganizzazione profonda di come il paziente interpreta la realtà.
Parlare di relazione che cura vuol dire tenere insieme il discorso sul dinamismo psichico e sul sapere psicodinamico, che ci permette di comprendere la relazione terapeutica, con la pragmatica della comunicazione e le esperienze interpersonali, come insegna il modello sistemico. Nel senso di considerare i dati di contesto e la continua interazione fra relazioni esperite e relazioni interiorizzate. La necessità di integrare i processi legati al mondo interno con le esperienze interpersonali parte da una visione unitaria della condizione umana e di riflesso anche della psicoterapia. Pensiamo all’unità mente e copro, dibattuta in filosofia, medicina e psicologia, o alla storia interpersonale che, a partire dalla nascita, porta alla formazione del Sé, costituendo un proprio bagaglio relazionale che può essere fonte di benessere, ma anche di sofferenza e di cura. Oppure consideriamo la dinamica delle emozioni e la loro funzione insieme ai processi della coscienza, studiati dalle neuroscienze che ci aiutano a comprendere la vita relazionale, le relazioni che curano, la sofferenza e le esperienze che fanno crescere e stare meglio. Cancrini [26] proseguendo la ricerca sull’unità della psicoterapia, analizza come operano gli psicoterapeuti che seguono pratiche diverse e vi ritrova una regolarità di comportamenti comuni che ci fanno comprendere l’efficacia degli interventi: un primo tempo dedicato all’ascolto, ai dati e alle indicazioni procedurali per il loro uso; un secondo tempo corrispondente all’occultamento e alla tolleranza del “buio della mente”; seguono le procedure per le indicazioni operative, fra logica simmetrica e asimmetrica; per giungere alla costruzione terapeutica come sintassi dell’intervento e all’insieme delle procedure e degli accorgimenti che ne costituiscono la grammatica. Queste regole comuni fra le terapie psicoanalitiche e sistemiche formano un discorso unitario che negli anni successivi ha avuto ricadute significative sulla ricerca in psicopatologia [27,28] e ha portato a una consistente pratica clinica che arricchisce i processi di integrazione in psicoterapia, come l’esplorazione dell’oceano borderline, per quanto concerne i disturbi di personalità, e il mondo dell’infanzia ferita, poiché in ogni adulto sofferente che chiede aiuto vi è un bambino ferito [29], per giungere alla psicoterapia dei bambini maltrattati [30] e alla preziosa integrazione fra il modo come operano gli psicoanalisti dell’infanzia, dalla Klein a Winnicott e a Bowlby, con le esperienze dei terapeuti della famiglia.
L’INTERAZIONE TERAPEUTA, PAZIENTE E FAMIGLIA
Se consideriamo la situazione odierna, fra i terapeuti della famiglia troviamo una maggiore propensione verso l’integrazione. Nella formazione in psicologia clinica tutti gli psicologi fanno riferimento alla lezione di Freud sul dinamismo psichico sottostante al manifestarsi del sintomo e alle teorie che ne sono derivate con un’impostazione relazionale, dalle relazioni oggettuali alla teoria dell’attaccamento. Successivamente nel corso della formazione in psicoterapia si aderisce al paradigma relazionale e alla riflessione sistemica sulla interdipendenza dei comportamenti e sulla pragmatica della comunicazione. L’integrazione di questi due livelli ha portato negli ultimi anni alla pubblicazione di diversi testi che arricchiscono la pratica clinica (si fa riferimento ai contributi di: Vittori [32], Ramella Benna [33], Colacicco [34], Di Caro [35], Cambiaso e Mazza [36]).
Anche la formazione del terapeuta familiare e relazionale è basata su tali premesse e si propone come processo rivolto alla maturazione personale dell’allievo, dal lavoro sulla sua storia personale e della famiglia d’origine attraverso il genogramma, alle risorse personali e al superamento delle criticità nelle terapie in supervisione diretta, al lavoro su di sé nel racconto della terapia nella supervisione indiretta [31]. In modo da fare emergere le sue caratteristiche personali con le quali influenza i comportamenti del paziente, accompagnandolo nei tentativi di introdurre elementi di novità e di cambiamento e formulare ipotesi sulle dinamiche familiari e di chi chiede aiuto, ricorrendo alle tecniche all’interno delle strategie di intervento rivolte a sboccare le situazioni relazionali rigide.
Nonostante le differenze fra i diversi orientamenti e fra le scuole di formazione che si ispirano ad essi, che spesso restano a livello nominalistico o sono legate alle teorie di riferimento più che alla pratica clinica, le ricerche evidenziano quanto sia necessaria un’impostazione unitaria che valorizzi le buone pratiche e permetta ai nuovi psicoterapeuti di formarsi secondo standard comuni. Il paradigma relazionale contiene un’impostazione unitaria che viene sottolineata da più autori [32,36,38,39], come integrazione fra mondo intrapsichico ed esperienze interpersonali nel contesto della relazione terapeutica, costituendo un sistema dinamico dove queste tre aree si attivano continuamente.
L’attenzione ai processi psicodinamici e al mondo interno richiede l’esplorazione del passato in chiave trigenerazionale, alla ricerca delle radici della sofferenza psichica, con un’attenzione alle relazioni oggettuali e alla teoria dell’attaccamento come fattori del dinamismo psichico, in un processo diacronico, che integra il modello interpersonale della Benjamin [40] e la cura delle infanzie infelici di Cancrini [29]. La focalizzazione interpersonale rivolge l’attenzione, tramite il pragmatica della comunicazione, al qui e ora dell’esperienza relazionale, al comportamento sintomatico e ai processi relazionali che lo stabilizzano. Come, ad esempio, quando si lavora con la famiglia ed emergono particolari modalità di interazione fra i suoi membri, di tipo disfunzionale, che possono produrre sofferenza, come nel caso di un figlio che si trova bloccato all’interno di un’alleanza con uno dei genitori e in conflitto con l’altro genitore. Situazione che va considerata facendo riferimento ai processi sincronici delle relazioni agite, con un’attenzione al qui e ora, così da aiutare la famiglia a riorganizzare i rapporti interpersonali e andare alla ricerca di modalità più funzionali alle esigenze di sviluppo di ogni individuo. Compito che richiede un’attenzione alla fase del ciclo di vita che la famiglia sta attraversando. Dato che tale dinamica relazionale ha conseguenze sul piano intrapsichico e ne è a sua volta influenzata. I due processi sincronico e diacronico non sono alternativi, vengono attivati parallelamente e gli effetti dell’uno condizionano e sono condizionati dall’altro.
Anche l’ordine del discorso può privilegiare uno o l’altro. Tuttavia è opportuno che il terapeuta consideri come si presenta la situazione di aiuto in riferimento al ciclo di vita per decidere se porre l’accento sul qui e ora più che sul passato o viceversa. Si tenga presente che le due focalizzazioni costituiscono due strade che si intersecano continuamente e sono tenute insieme dalla relazione terapeutica che opera sui due livelli: sincronico, il rapporto terapeutico nel qui e ora, e diacronico, l’attenzione al mondo interno del paziente. Il terapeuta relazionale e sistemico quando lavora con la famiglia, con una coppia, o con un particolare sistema interpersonale riesce a tenere insieme i due livelli e può meglio operare per la riorganizzazione delle relazioni.
In conclusione, la terapia relazionale e sistemica e le tecniche che la rendono possibile sono una metodologia di interpretazione della realtà applicabile a situazioni e contesti ben più allargati della famiglia: dall’ambiente di lavoro alla scuola, alle istituzioni sanitarie e psichiatriche. Con lo studio della pragmatica della comunicazione possiamo considerare gli effetti prodotti dalle relazioni riportando le difficoltà di chi sta male al qui e ora dei rapporti interpersonali con i membri della famiglia e con i personaggi più significativi del suo ambiente affettivo. E abbiamo la possibilità di integrare l’esperienza del singolo, di cui si sono occupati gli psicoanalisti soffermandosi sui processi psicodinamici e sulla semantica della comunicazione, con l’attenzione ai rapporti interpersonali e alle relazioni familiari. Gli effetti prodotti dalle relazioni insieme al lavoro centrato sull’esperienza del singolo sono indispensabili per la corretta impostazione del lavoro terapeutico, sono complementari e si arricchiscono reciprocamente.
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