L’orientamento relazionale sistemico come approccio unitario

Massimo Pelli1

1Psichiatra e psicoterapeuta, didatta del CSTFR, già direttore UOC DSM, ex ASL RME.

Riassunto. Sempre più spesso ci troviamo ad operare in contesti che richiedono strumenti e abilità diverse, non solo nell’ambito clinico ma anche in contesti diversi come la scuola, le istituzioni, il lavoro, ecc. E sempre più spesso siamo sollecitati a trovare una convergenza tra le diverse teorie della mente, un tessuto connettivo che integri i diversi modelli teorici e pratici che caratterizzano il variegato mondo della psicoterapia. Abbiamo in mente un terapeuta che abbia strumenti e competenze per affrontare setting diversi: dall’individuo, alla coppia, alla famiglia, ma che possa anche intervenire sui problemi delle organizzazioni in senso lato. La conferma della necessità di una convergenza tra i diversi modelli la ritroviamo anche dall’evidenza che in tutti i modelli sono presenti degli aspetti che rappresentano i punti cardinali delle psicoterapie: a) la comunicazione e la relazione sono il principale strumento terapeutico; b) il terapeuta ha un ruolo costruttivo attivo nel selezionare il proprio campo di osservazione, l’osservatore non è esterno al campo di osservazione; c) l’importanza di ricostruire una storia, una narrazione che restituisca un senso e permetta l’aprirsi di un nuovo punto di vista, cambi le premesse epistemologiche del paziente; d) l’importanza di una formazione che implica un processo di crescita teorico, pragmatico e relazionale. Ma il modello relazionale-sistemico è un modo antiriduzionistico di leggere la realtà di sistemi complessi e più di altri modelli sembra costituirsi come lente di lettura per intervenire nei problemi delle organizzazioni.

Parole chiave. Modelli della mente, convergenza, formazione, organizzazione.

Summary. Systemic relational orientation as a unitary approach.
More and more often we work in contexts which need of different tools and different abilities, not only from a clinical point of view, but because of the specific differences in different contexts like schools, institutions, job. And more and more often we are pressed to find an integration between the different theories of mind, a connective tissue which integrates the different theoretical and pragmatic models of psycotherapy. We are thinking of a therapist who has the tools and abilities to face different contexts and feels confortable with individual, couple and family therapy and with problems of organizations as well. The necessity to integrate the different theoretical models comes from the evidence that in all of them we can find the same aspects which can be seen as the cardinal points of all psycotherapies: a) the communication and the relationship are the main therapeutic tools; b) the therapist has an active and constructive role in selecting his own observation field, the observer has to put himself inside the observation field; c) the importance of rebuilt a new story, a new telling which gives a new meaning to the experience of patient, a new point of view that can change the epistemological premises of patient; d) the importance of a training that involves a theoretical, pragmatic and a relational growing as well. The relational-systemic approach is an antireduction model to read the reality of complex systems and to intervene in the organization problems better than other epistemologhical models.

Key words. Epistemologhical models of mind, meeting, training, organization.

Resumen. Orientación relacional sistémica como un enfoque unitario.
Cada vez con más frecuencia nos encontramos operando en contextos que requieren instrumentos y habilidades distintas, no sólo en el ámbito clínico sino también en muchos contextos como la escuela, las instituciones, el mundo del trabajo, etc. Cada vez con más frecuencia hay que encontrar una convergencia entre las distintas teorías de la mente, un tejido conjuntivo que pueda integrar los distintos modelos teóricos y prácticos que caracterizan el múltiple mundo de la psicoterapia. Todo el mundo se imagina un terapeuta que tenga los instrumentos y las competencias para abordar distintas situaciones que pueden referirse al individuo, a la pareja, a la familia y que pueda también solucionar problemas por lo que se refiere a la organización en general. También se encuentra la confirmación de la necesidad de una convergencia entre los distintos modelos en la evidencia que en todos modelos hay aspectos que representan los puntos cardinales de las psicoterapias: a) la comunicación y la relación representan los principales instrumentos terapéuticos; b) el terapeuta tiene un papel constructivo activo en la selección de su ámbito de observación, el observador no está fuera del campo de observación; c) la importancia de reconstruir una historia, una narración, que ofrezca un significado y permita la apertura de un nuevo punto de vista, cambia las premisas epistemológicas del paciente; d) la importancia de una formaciòn que implique un proceso de crecimiento teòrico, pragmático y relacional. El modelo relacional-sistémico es una manera antireduccionista de leer la realidad de sistemas complejos y parece constituirse, más que otros modelos, como medio de lectura para internevir en problemas de organización.

Palabras clave. Modelos de la mente, convergencia, formación, organización.


La cornice di questo convegno del Centro Studi ci invita a riflettere su un’esigenza sempre più condivisa e diffusa sia dal punto di vista teorico sia dal punto di vista della clinica e della formazione e cioè l’esigenza di evidenziare una base unitaria che vada oltre la varietà di modelli, di teorie e di pratiche che caratterizzano il variegato mondo della psicoterapia.
Mentre riflettevo su cosa dire mi sentivo forzato e stretto nel dover scegliere tra 2 opzioni: da una parte privilegiare l’ottica sistemica come approccio unitario (come meta-modello che include gli altri modelli?) dall’altra privilegiare l’integrazione e la convergenza di modelli epistemologici diversi. A questo punto ho sentito che stavo cadendo nella trance ipnotica in cui cade l’osservatore quando vede la ben nota figura gestaltica della giovane e della vecchia che emergono a seconda di come spostiamo il focus della nostra osservazione: è un problema di figura – sfondo. Sarà la griglia di lettura che utilizzeremo a mettere in evidenza alcuni aspetti del sistema piuttosto che altri, a stabilire il tipo di rapporto tra figura e sfondo.
D’altra parte una evidente base di unitarietà la troviamo già nel fatto che la psicoterapia rappresenta una modalità di trattamento che differisce dalle pratiche di derivazione biologica e medica privilegiando come strumenti terapeutici la comunicazione e la relazione.
Nardone e Salvini [1] nell’introduzione al Dizionario Internazionale della Psicoterapia ci dicono che modelli che derivano da paradigmi retrostanti diversi conferiscono alla psicoterapia una dimensione pluralistica e multidimensionale: è come una grande officina in cui troviamo attrezzi diversi per problemi diversi che richiedono abilità e competenze diverse. Riparare un motore richiede abilità diverse e attrezzi diversi da quelli necessari per riparare una carrozzeria.
Sempre più spesso ci troviamo ad operare in contesti che richiedono strumenti e abilità diverse (non solo nell’ambito clinico, ma anche in contesti diversi come la scuola, le istituzioni, il mondo del lavoro, ed altro ancora), siamo perciò sollecitati a trovare un legame concettuale trasversale, un tessuto connettivo che, al di là delle differenze, ci aiuti ad integrare i diversi modelli tra loro. Dobbiamo trovare una convergenza tra le diverse teorie della mente affinché dai protocolli operativi possiamo prendere pratiche attraverso cui è possibile sollecitare input di cambiamento nei rapporti problematici e disfunzionali che le persone hanno con sé stesse, con gli altri e con il mondo.
La prospettiva sistemica-relazionale nasce circa a metà del secolo scorso come conseguenza di un nuovo orientamento del pensiero che è quello della Teoria Generale dei Sistemi: fu un grande movimento culturale e scientifico che introdusse in diversi campi come la fisica, la biologia, le scienze sociali un modo nuovo di osservare e studiare i fenomeni: non più come nell’era positivista lo studio dei fenomeni prevedeva la possibilità di estrapolare dall’insieme del fenomeno sotto osservazione i singoli elementi ma era sempre più evidente che lo studio di sistemi complessi rendeva necessario ampliare l’osservazione all’insieme. Ci si rese conto cioè che isolare una variabile è un artificio dell’osservatore mentre un “sistema” è un’entità costituita da parti interagenti tra loro; è una complessità organizzata [2]. Siamo quindi di fronte a una rivoluzione scientifica, nel senso di Thomas Kuhn: il concetto di sistema costituisce un nuovo paradigma, una nuova filosofia della natura. Per capire come funziona un insieme di elementi non dobbiamo osservare solo gli elementi ma anche le loro interazioni: sia per capire come interagiscono gli enzimi dentro una cellula, o i circuiti ormonali del nostro organismo, i processi mentali, o la struttura e la dinamica dei sistemi sociali. Da qui anche la consapevolezza che esistono aspetti generali, delle corrispondenze e degli isomorfismi che sono comuni a sistemi che, per altri aspetti, sono diversi tra loro e che ritroviamo nei diversi campi del sapere. Il principio della totalità e della non sommatività dei sistemi, il principio di retroazione e il principio di equifinalità sono la base dell’epistemologia dei sistemi.
La prospettiva sistemico-relazionale in psicoterapia nasce dentro questa cornice teorica su assunti che discendono direttamente dal nuovo paradigma e che includono sia la teoria della comunicazione e dell’informazione nel senso di Shannon (l’informazione è notizia di una differenza e come tale è una misura dell’entropia negativa di un sistema e quindi una misura della sua organizzazione) sia la cibernetica come scienza del controllo e dei meccanismi di autoregolazione tra sistema e ambiente e tra le parti interagenti del sistema.
È storia nota come all’inizio l’ottica sistemica aveva messo da parte l’intrapsichico privilegiando l’osservazione di come funzionano i sistemi umani, come le persone si relazionano tra loro a partire dalla griglia di lettura proposta dalla cibernetica e dalla pragmatica della comunicazione. L’interesse era sul “qui e ora” e sul mantenimento dell’omeostasi del sistema e il terapeuta osservava la famiglia come altro da sé, un oggetto esterno di cui capire il funzionamento. Fu solo in seguito, con quella che fu chiamata seconda cibernetica, che l’osservatore diventa parte del campo osservato, l’osservatore co-costruisce la realtà che osserva e l’attenzione si sposta dai meccanismi che mantengono l’omeostasi ai meccanismi evolutivi, morfogenetici [3]. Dalla iniziale focalizzazione sulla famiglia come contesto significativo di relazioni l’attenzione dell’osservatore si sposta sulla psicoterapia come contesto significativo di relazione.
Le conseguenze di questa evoluzione ci portano a una prima convergenza sull’unitarietà di base della psicoterapia: se è vero che lo strumento privilegiato nella psicoterapia è la relazione e l’utilizzazione del Sé del terapeuta come strumento terapeutico allora in tutti i modelli, al di là delle diverse epistemologie, ritroviamo che l’osservatore contribuisce con le proprie teorie, i propri modelli impliciti o espliciti, a costruire o ad ostacolare le condizioni della propria personale esperienza. Diventa rilevante quindi anche la relazione che ogni partecipante ha con sé stesso, con le proprie emozioni e i propri vissuti.
Allora diversi modelli condividono le seguenti premesse:
• il terapeuta non è esterno al sistema osservato;
• il terapeuta ha un ruolo costruttivo nella definizione del suo oggetto e in quanto tale è parte della rete di relazioni significative del sistema terapeutico;
• la relazione assume quindi il duplice significato di oggetto di osservazione e di strumento di lavoro di cui disporre quando ci confrontiamo con le situazioni problematiche;
• il contesto di osservazione non è più un dato invariante ma è riflessivamente connesso con le azioni che in esso si svolgono.

Un altro fattore di convergenza che sollecita a pensare ad una unitarietà di base della psicoterapia è il recupero della storia che l’approccio sistemico ha affrontato per un’ipotesi esplicativa e relazionale nella costruzione della personalità e dei suoi disturbi, che per anni sono stati un “senso vietato” nella lettura sistemica del disturbo eludendolo nel determinismo di un funzionamento irrigidito delle dinamiche familiari. Parliamo del processo di costruzione del Sé che prevede passaggi evolutivi il cui compimento porta alla costruzione di un Sé capace di affrontare le sfide evolutive e il cui fallimento porta alla difficoltà di mantenere livelli di funzionamento più adeguati [4]. D’altra parte il recupero della storia non deve essere inteso come la ricerca della verità storica di quanto è accaduto nel passato, ma come la possibilità di co-costruire insieme al paziente una nuova narrazione della sua storia che dia senso alla sua sofferenza e che, a causa dell’incapacità autobiografica del paziente e della famiglia, può essere espressa solo attraverso il sintomo.
È il recupero della dimensione storica, della circolarità tra la disfunzione nell’organizzazione relazionale della famiglia e il disturbo nel funzionamento del paziente non più basata soltanto sulla osservazione del presente, nel “qui e ora” ma sulla ricostruzione della storia intergenerazionale della famiglia. Ricostruire la storia di come abbiamo selezionato il nostro stile di attaccamento ci permette di comprendere la genesi di come si sono formati i nostri Modelli Operativi Interni, il nostro modo di stare nella relazione, la nostra capacità di adattamento [5]. È un filo conduttore che collega le generazioni così come il recupero della storia trigenerazionale che ci permette di valutare e di comprendere quale bambino e figlio sia stato il genitore all’interno della sua famiglia e quindi quali modelli abbia interiorizzato e poi riversato nel modo in cui vive sia la genitorialità che la coniugalità. Alla dimensione sincronica del “qui e ora” che era la nostra lente di osservazione agli inizi della terapia familiare dobbiamo integrare una dimensione diacronica e cioè le storie che abbiamo vissuto nella famiglia di origine (FO), le relazioni con le figure di attaccamento dalle quali abbiamo appreso schemi di comportamento che riproponiamo nella vita adulta. Il recupero del passato ci aiuta a comprendere meglio il presente, dà sostanza e spessore alle nostre ipotesi, aiuta i pazienti a riconoscersi e a sentirsi riconosciuti dando senso alla sofferenza e al dolore. Come ci ricorda Canevaro [6] citando Framo forze transgenerazionali influenzano le relazioni di oggi e le difficoltà attuali di oggi sono spesso l’esito degli sforzi che abbiamo fatto per riparare, distanziare, controllare le situazioni relazionali difficili che abbiamo vissuto nella FO o per adattarsi a queste situazioni. Sempre più spesso ci troviamo a lavorare sulla famiglia rappresentata che è altra cosa che lavorare con la famiglia reale presente in seduta ma poiché l’informazione è notizia di una differenza sempre Canevaro ci ha proposto un modello di terapia individuale sistemica alla presenza dei familiari significativi così come è possibile chiamare le FO in una terapia di coppia.
Abbiamo in mente un terapeuta che possa sentirsi a proprio agio e abbia competenze per affrontare setting diversi: dall’individuo, alla coppia, alla famiglia.
I diversi contesti con cui viene formulata la domanda di aiuto richiedono un terapeuta che sappia come muoversi a fronte di un intervento che può richiedere aggiustamenti nel percorso terapeutico, configurazioni diverse del sistema da convocare, e quindi ancora flessibilità e duttilità che lo aiutino ad orientarsi.
Il modello sistemico relazionale è qualcosa di più e di diverso dal contesto in cui il terapeuta opera: è un modo complesso e antiriduzionista di leggere la realtà. Da questa prospettiva la teoria sistemica può effettivamente essere vista come approccio unitario ad affrontare le problematiche di contesti diversi.
Per concludere propongo un terzo elemento di convergenza che riguarda la necessità di una formazione del futuro psicoterapeuta che pure è trasversale a modelli epistemologici diversi perché la formazione dello psicoterapeuta si fonda sull’acquisizione di un sapere (di un corpo teorico: la responsabilità epistemologica) di un saper fare (l’apprendimento di pratiche, di un sapere procedurale: la responsabilità tecnica) e di un saper essere (la capacità di utilizzare il Sé come strumento terapeutico: la responsabilità relazionale). Il futuro psicoterapeuta deve poter acquisire delle competenze di base nella conduzione di un processo terapeutico che sono il risultato di un percorso di specializzazione teorico e pragmatico che si intreccia con un percorso di crescita personale che renda l’allievo consapevole dei propri modelli relazionali acquisiti e spesso anacronistici e disadattivi. In questo percorso di formazione ritroviamo un’altra radice di convergenza tra le scuole di Psicoterapia che pur derivano da modelli teorici diversi.

Può succedere a volte che la formazione rimanga sospesa tra una formazione intesa come trasferimento di competenze pratiche, tesa a formare terapeuti capaci di “produrre effetti”, organizzata su una relazione didatta-allievo fortemente asimmetrica (il didatta come modello) e una formazione che spinga l’attenzione sul vissuto e sulle emozioni e cioè una formazione centrata sull’allievo che tenda alla costruzione di una relazione trasformativa.
Oggetto della formazione dovrebbe essere la relazione tra la capacità di produrre effetti e gli aspetti emotivi del terapeuta, in altre parole a diventare oggetto della formazione è la relazione Didatta formatore-allievo “apprendente” [7]. Lavorare sulla capacità di produrre effetti da un lato o la capacità di essere in rapporto con sé stessi dall’altro non danno garanzie che questa integrazione sia possibile.
Dire che la relazione didatta-allievo come oggetto della formazione è trasversale alle diverse scuole di psicoterapia significa definire le competenze e definire il modo in cui si realizza l’acquisizione di queste competenze. L’allievo è sollecitato ad assumere la responsabilità delle sue competenze, il didatta sa ma non ha la funzione di trasferire il proprio sapere ma piuttosto ha la funzione di attivare nell’allievo le risorse cognitive e emozionali che andranno a costruire il suo modo originale e unico modo di essere terapeuta, la sua identità.
Conoscere se stesso per conoscere l’altro da Sé, stare con, condividere, cooperare in vista di un divenire [8] implica la necessità di una trasformazione personale, un rimodellamento delle proprie premesse epistemologiche, e una conoscenza delle nostre risonanze e delle nostre reazioni controtransferali per potersi sintonizzare con le modalità relazionali del paziente e selezionare le strategie più appropriate per quel paziente per costruire e mantenere l’alleanza terapeutica. Sia che la scuola proponga un percorso terapeutico individuale sia che proponga un percorso di crescita all’interno di una formazione gruppale, come avviene nelle scuole di formazione sistemica, l’obiettivo rimane lo sviluppo di una trasformazione nell’insieme delle nostre risonanze emozionali, e della dimensione cognitiva e infine comportamentale che favorisca nuovi saperi, come ci ricorda Marco Vannotti, citando Stern. Stiamo parlando di un processo che non è dissimile da quello che si verifica in un percorso terapeutico individuale. Nella formazione gruppale,
così come viene organizzata nelle nostre scuole, viene sollecitata la capacità maieutica del gruppo in un interscambio tra famiglia, allievo terapeuta, gruppo e didatta, cosicché l’allievo «mentre si forma possa riflettere sul suo punto esistenziale e sul suo ciclo vitale» [9] ma sta alla capacità del didatta di permetterla e di permettersi di vivere un’esperienza trasformativa per l’allievo, per il gruppo e per sé stesso.
Concludiamo ricordando che essendo l’approccio sistemico per definizione antiriduzionista e metodo per osservare e studiare i sistemi complessi possiamo anche dire che la teoria sistemico-relazionale si presta più di altre a costituirsi come lente di lettura per intervenire sui problemi delle organizzazioni. L’ottica sistemica offre un punto di vista privilegiato (abbastanza alto da vedere l’insieme) e ha confermato l’applicabilità del modello sistemico per quanto riguarda le organizzazioni in senso lato: dalla scuola, alle organizzazioni sanitarie, alle istituzioni deputate al controllo, al tribunale dei minori in situazioni di abuso e di maltrattamento e di separazioni conflittuali così come nel caso di una richiesta di aiuto da parte di una famiglia con bambini, oppure con adolescenti non richiedenti, o famiglia a transazione psicotica, coppie in crisi.
 
La prospettiva sistemica non è utile solo nel contesto psicoterapeutico e sempre più spesso siamo chiamati ad utilizzarla in contesti diversi: in qualsiasi organizzazione le relazioni tra le parti e il tutto sono meglio comprese ricorrendo ai concetti di circolarità, retroazione, equifinalità, ciclo vitale del sistema teoria della comunicazione e l’evidente importanza di conoscere il contesto. La sostituzione di una visione gerarchizzata dei modelli organizzativi con una visione circolare della relazione in cui vengono privilegiati i principi dei sistemi ha cambiato totalmente la cultura del Management.
Anche il paradigma della complessità è stato nutrito dalla visione sistemica: dalle parti al tutto e dal tutto alle parti e come scriveva Luigi Onnis [10, p.59] nel testo che ci ha lasciato in eredità: «il pensiero sistemico è fortemente critico verso tutti i riduzionismi, a cominciare da quello biologistico […] in secondo luogo se l’ottica della complessità è incompatibile con ogni forma di riduzionismo, essa prende anche le distanze da ogni modello “olistico” che pretenda di essere onnicomprensivo e di dare spiegazioni esaustive e totalizzanti di ogni aspetto della realtà […] rischiando di riproporsi come modello dogmatico e univoco. L’ottica della complessità si fonda, invece, per definizione sulla pluralità ed è, per sua natura, aperta al molteplice».
Pensare plurale e uscire da schemi rigidamente preconfezionati diventa sempre più importante. La tendenza della società attuale è sempre più orientata alla molteplicità, sempre più libera da schemi rigidi. Basta pensare alla non coincidenza tra identità di genere e gusti sessuali, e alle diverse dimensioni assunte dalla famiglie oltre quella tradizionale. Così diventa sempre più importante per il terapeuta sistemico mantenere aperta la possibilità di “incontrare il nuovo” attraverso la sua creatività piuttosto della applicazione di protocolli stereotipati.
Intercettare il nuovo che ci circonda vuol dire ritrovare le connessioni tra microsistema dove il terapeuta opera e il macrosistema in cui è inserito.
«Troppo spesso l’identità del terapeuta sistemico è stata appiattita su quella del terapeuta familiare, perdendo di vista la ricchezza di un approccio che è qualcosa di più che organizzare un setting per una terapia familiare».
Il modello sistemico presuppone una epistemologia e una visione del mondo: come abbiamo detto è un modo non riduzionista di leggere la realtà in cui siamo chiamati ad intervenire e in cui la convocazione di più persone è solo uno dei modi per arrivare a un cambiamento [11].
BIBLIOGRAFIA
 1. Nardone G, Salvini A. Dizionario Internazionale di Psicoterapia. Milano: Garzanti, 2013.
 2. Watzlawick P, Beavin JH, Jackson DD. Pragmatica della comunicazione umana. Roma: Astrolabio, 1971.
 3. Bateson G. Mente e natura. Milano: Adelphi, 1984.
 4. Cancrini L. L’oceano borderline. Milano: Raffaello Cortina Editore, 2006.
 5. Benjamin LS. Terapia ricostruttiva interpersonale. Milano: Raffaello Cortina Editore, 2019.
 6. Canevaro A. Quando volano i cormorani. Roma: Borla, 2009.
 7. Vannotti M. La formazione alla prova del saper essere. In: Onnis L (a cura di). La terapia familiare in Europa, Invenzione a cinque voci. Milano: Franco Angeli, 2012.
 8. Goldbeter-Merinfeld E. La presenza dell’assente in terapia. In: Onnis L (a cura di). La terapia familiare in Europa. Invenzioni a cinque voci. Milano: Franco Angeli, 2012.
 9. Harrison L. Dalla base sicura all’individuo: riflessioni sulla formazione e sull’allenamento dei terapeuti. Ecologia della mente 1991; 6: 88-92.
10. Onnis L. Teatri di famiglia. Torino: Bollati Boringhieri, 2017.
11. Commissione didattico-clinica SIPPR (Bucci P, Benini C, De Laurentis MP, Galli M, Cialdella M, Pelli M). a. La Relazione che cura: tutti i possibili setting. Comunicazione orale, Convegno SIPPR, Milano 24/25 maggio 2018; b. Workshop: La professione del terapeuta, dal sapere all’essere, prove pratiche di trasmissione. Congresso EFTA-SIPPR, Napoli, settembre 2019.