Famiglie coinvolte in separazioni disfunzionali:  bambini incastrati nel conflitto di lealtà, il lavoro terapeutico familiare

Olivia Pagano1, Maria Chiara Crisponi2, Vincenzina Licastro2,
Alessandra Pomilio
2, Martina Taricco2


1Psicologa e psicoterapeuta, didatta dell’Istituto Dedalus e referente del CISMAI per il Lazio.
2 Psicologa specializzanda in Psicoterapia, Istituto Dedalus.

Riassunto. La conflittualità nella coppia e la sofferenza dei figli inseriti nel conflitto è un fenomeno legato al processo di evoluzione culturale che ha portato alla crisi della famiglia tradizionale, fondata sul matrimonio, famiglia che aveva come caratteristica sostanziale la stabilità dei legami. L’evento paranormativo della separazione rappresenta una crisi per la famiglia e per la coppia che, se conflittuale, fa emergere sintomi nei figli e talvolta anche preoccupanti situazioni di violenza. Genitori ambivalenti con una storia familiare irrisolta si sono incontrati sul bisogno di appartenenza cui spesso la gravidanza rappresenta una “rottura” con effetti e problemi connessi alla genitorialità. Si avvia così un’escalation di conflitto, caratterizzata dall’agito di allontanarsi con una separazione solo formalmente, ma con l’intento di restare vicini triangolando i figli, come pretesto dell’incapacità di interrompere la relazione. In queste dinamiche i figli di coppie conflittuali si inseriscono da “attori protagonisti”, giocano la loro parte attiva nel conflitto e spesso scelgono di aderire a certi ruoli, altamente disfunzionali, come migliore strategia adattiva di sopravvivenza psichica. Il costo di questa scelta può essere molto elevato e si manifesta attraverso i sintomi: sensi di colpa, vissuti depressivi, sentimenti di abbandono, adultizzazione precoce. Si analizzano due interventi di psicoterapia familiare in casi di “separazioni dolorose” dove si raffrontano le differenze legate al contesto: una terapia “coattiva” con invio del tribunale e una terapia “spontanea” dove al centro dell’intervento vi è il lavoro con le famiglie sul conflitto di lealtà.
parole chiave. Separazione disfunzionale, coppie conflittuali, sofferenza dei figli.
Summary. Families involved in dysfunctional separations: children trapped in the conflict of loyalty, the family therapeutic work.
The conflict in the couple and the suffering of the children involved in the conflict is a phenomenon linked to the process of cultural evolution that led to the crisis of the traditional family, founded on marriage, family that had the stability of the bonds as its main characteristic. The paranormative event of separation represents a crisis for the family and for the couple that, if conflicting, brings out symptoms in the children and sometimes even alarming situations of violence. Ambivalent parents with an unresolved family history met on the need to belong to which pregnancy often represents a “break” with effects and problems related to parenting. Thus an escalation of conflict begins, characterized by the act of getting away only formally with a separation, but with the intent to remain close triangulating the children, as a pretext for the inability to break the relationship. In these dynamics, children of conflicting couples present themselves as “protagonist actors”, playing their active part in the conflict, and often choose to adhere to certain highly dysfunctional roles as the best adaptive psychic survival strategy. The cost of this choice can be very high and it can be manifested through the symptoms: feelings of guilt, depressive experiences, feelings of abandonment, early adultization. We analyze two interventions of family psychotherapy in cases of “painful separations” where the differences related to the context are compared: a “compulsory” therapy with dispatch of the court and a “spontaneous” therapy where the work with the families on the conflict of loyalty is at the center of the intervention.
Key words. Dysfunctional separations, conflicting couples, suffering of the children.
Resumen. Familias implicadas en separaciones disfuncionales: niños atascados en el conflicto de lealtad, el trabajo terapeutico familiar.
El conflicto en la pareja y el sufrimiento de los hijos implicados en dicho conflicto es un fenómeno relacionado al proceso de evolución cultural que ha llevado a la crisis de la familia tradicional fundada en el matrimonio, familia que tenìa como característica sustancial la estabilidad de los víncuols. El evento paranormativo de la separación representa una crisis para la familia y la pareja la cual, si es conflictual, llevarà al surgimiento de síntomas en los hijos y tal vez a situaciones de violencia. Padres ambivalentes con una historia familiar no resuelta se han encontrado en la falta de afiliación y a menudo el embarazo representa una “ruptura” de esta unión, con consecuencias y problemas relacionados a la parentalidad. Empieza así una escalada de conflicto, caracterizada por el acto del alejamiento con separación solo formal, con el propósito en realidad de quedarse cerca triangulando los hijos, utilizandolos como excusa, por la incapacidad de interrumpir la relación. En estas dinámicas los hijos de las parejas conflictuales, se inscriben como “actores protagonistas”, jugando activamente su papel en el conflicto; muy a menudo ellos eligen de adherir a ciertos papeles altamente disfuncionales, como mejor estrategia adaptiva de sobrevivencia psíquica. El precio de esta elección puede ser muy elevado y se puede manifestar mediante síntomas: culpabilidad, sentimientos de abandono, adultización precoz. El artículo examina dos actuación de psicoterapia familiar en casos de “separación dolorosa”, donde se comparan las diferencias relacionadas al contexto: una terapia “coactiva”, con envio por parte del tribunal, y una terapia espontánea, donde se coloca al centro del intervento el trabajo con las familia sobre el conflicto de lealtad.

Palabras clave. Separaciones disfuncionales, parejas conflictuales, sufrimiento de los hijos.


Quando i coniugi sono impossibilitati a elaborare la separazione, accade che questi persistano nel mantenere, tramite il conflitto, un “legame disperante” [1]. È in questo caso che le funzioni genitoriali appaiono compromesse, rendendo, la genitorialità uno degli aspetti cui spesso può elicitarsi il conflitto di coppia, dinamica che a sua volta sollecita uno dei maggiori fattori di stress per i figli [2]. Spesso i figli di genitori che presentano nel separarsi un’alta conflittualità innescano dinamiche “triangolari” disfunzionali, coinvolgendo i figli in “triadi rigide” [3] o “triangoli perversi” [4] dove la prole, tutt’altro che soggetto passivo, è ‘costretta’ a prendere parte attiva nel conflitto genitoriale giocando ruoli che, seppur disfunzionali, rappresentano per essa pur sempre una strategia, un tentativo di risolvere i problemi attuali [5].
Il nostro lavoro fa riferimento alla definizione di conflitto e dalla sua delineazione come elemento estremamente frequente, parafisiologico, nelle famiglie, soprattutto in quelle in fase di separazione e divorzio. Questi eventi, definiti da Malagoli Togliatti e Lubrano Lavadera [2] come veri e propri “eventi paranormativi”, costituiscono ulteriori fasi del ciclo vitale e prevedono che ci sia una ridefinizione della propria identità al di fuori della coppia, della famiglia d’origine, dei figli e dell’ex coniuge. Soprattutto ove questi compiti di sviluppo non vadano a buon fine, l’esito è un contesto di comunicazioni incomplete, ambivalenti e paradossali che portano alla generazione di situazioni altamente conflittuali, al loro mantenimento e al peggioramento.
Alcuni autori hanno definito il conflitto lungo un continuum – minimo, blando, moderato, moderatamente grave (intenso) e grave. In questo continuum si passa da una condizione “ideale”, ove il disaccordo genitoriale non ostacola la co-genitorialità e il reciproco supporto, in crescendo, a un peggioramento dell’aspetto denigratorio del genitore verso l’altro o del tentativo di coalizzarsi col bambino contro la figura genitoriale opposta. L’estremo più grave di tale scala, che si estrinseca soprattutto nelle condizioni in cui uno dei genitori propone una dipendenza o un disturbo di personalità, è quello di un conflitto talmente grave che le forze in gioco si sbilanciano sfociando in violenza.
Si tratta anche di famiglie multiproblematiche, dove numerosi fattori di rischio appaiono sbilanciati rispetto ai fattori di protezione (la presenza di un genitore adeguato, di istituzioni supportive, di un contesto sociale attivo in proposito) e sono le forze in gioco che fanno sì che, spesso, il conflitto si cronicizzi e si estrinsechi in violenza, in forme che possono essere palesi o mascherate, pericolose oltre che per le loro conseguenze immediate anche per quelle a lungo termine. La violenza, infatti, secondo l’OMS, viene definita come una patologia relazionale che ha mostrato in vari studi una “ereditarietà”, perpetuandosi lungo il filo trigenerazionale.
È così che lavorando con questi sistemi si crea un terreno difficile su cui muoversi e la letteratura e l’esperienza ci orientano alla necessità di lavorare in rete con un approccio multidisciplinare, favorendo di creare contesti di protezione e presa in carico efficaci. Tali sistemi sono ospiti frequenti nelle nostre stanze di terapia, caratterizzati da relazioni confuse, invii coatti e spontanei, decreti dei Tribunali, prescrizioni da rispettare, figli e minorenni “messi in mezzo”, e appaiono davvero complicati imponendo a tutti noi professionisti di mettere in campo interventi plasmabili e continuamente rinegoziabili. A questo proposito, è indispensabile distinguere tra le separazioni altamente conflittuali, con gli inevitabili danni che queste comportano soprattutto ai figli coinvolti, e situazioni di violenza assistita, nelle quali avvengono comportamenti e atti di violenza gravi e/o reiterati a danno di uno dei due genitori. Per “violenza assistita” in ambito familiare si intende il fare esperienza, da parte dei bambini o ragazzi, di qualsiasi forma di maltrattamento, compiuto attraverso atti di violenza fisica, psicologica e verbale, sessuale ed economica su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative, adulte o minorenni. I figli vivono nell’imprevedibilità e questa li rende insicuri delle proprie percezioni, provocando vissuti di disvalore. Anche l’alleanza con il genitore non violento (risorsa e protezione) può trasformarsi in un giogo che sottrae ai figli il diritto a un pensiero divergente. Il maltrattamento mina profondamente l’integrità personale dei bambini: si assiste a una vera e propria paralisi psicologica. Tale esperienza induce i piccoli, impossibilitati a fidarsi e a contare su un adulto di riferimento sufficientemente competente, a fare affidamento solo su se stessi, una dimensione che faranno sviluppare un’iper-maturità, una pseudo-sicurezza e un falso Sé. Fondamentale è il concetto di “ereditarietà” come trasmissione transgenerazionale: in queste situazioni i bambini interiorizzano la violenza come un modello di relazione affettiva e per risolvere i conflitti, con la tendenza a ripeterlo nel futuro delle loro vite di adulti. Spesso i genitori non sono consapevoli della gravità dei loro comportamenti e la violenza assistita diventa un trauma che blocca le emozioni. La rilevazione della violenza assistita è spesso molto complessa secondo i dati del Cismai [6] ed è la seconda forma di maltrattamento più diffusa nel nostro Paese. Richiede, pertanto, che gli operatori che incontrano le famiglie osservino con attenzione i fenomeni legati all’alta conflittualità per effettuare una diagnosi corretta, mettendo in campo interventi di presa in carico che si articolano in fasi e funzioni operative e ricorsive nel tempo (rilevazione, segnalazione, protezione, valutazione, trattamento, monitoraggio). Qualora emerga una situazione di violenza, uno dei primi passaggi è la messa in sicurezza delle vittime di violenza (solitamente la madre e i figli) e fondamentale il lavoro con i bambini, che devono elaborare i loro vissuti post-traumatici. Recentemente si è iniziato a lavorare anche con i genitori maltrattanti [7].
È fondamentale tenere conto che la valutazione deve essere un processo progressivo di conoscenza [8] scevro da giudizi, che non scatta una fotografia dell’esistente, ma cerca di cogliere le interconnessioni che hanno portato alla violenza e promuovere, ove possibile, il cambiamento e il raggiungimento dei risultati più adattivi. Si può affermare che una separazione è “gravemente conflittuale” quando la coppia presenta nel tempo modalità rigide e distruttive di relazione che finiscono per coinvolgere i figli, senza alcuna possibilità di raggiungere accordi rispetto alla loro gestione. L’alta conflittualità, in queste situazioni, rappresenta l’indicatore di una mancata possibilità di elaborazione della sofferenza legata all’evento separativo, che risulta attuato nei fatti, ma incompiuto sul versante emozionale e mette i figli in una forte condizione di rischio, configurandosi per certi aspetti come una mascherata forma di maltrattamento psicologico [9]. I figli nelle separazioni altamente conflittuali si trovano a vivere quello che in letteratura viene definito un “conflitto di lealtà”, ovvero il trovarsi in quella scomoda posizione nei confronti dei genitori, che li porta ad avere difficoltà a relazionarsi con entrambi per la paura che mostrare affetto per uno significhi deludere o tradire l’altro [10,3].
Per comprendere meglio il ruolo dei professionisti, si deve tener conto che il conflitto agito dagli ex compagni, quello interno dell’operatore e quello “dietro lo specchio” suscita delle emozioni che vanno comprese attentamente; in particolare è necessario codificare e leggere tali istanze al fine di osservare le differenze fra una situazione di conflitto disfunzionale tra i genitori e una di violenza che appaiono molto celate, e talvolta i fenomeni possono essere compresenti. In tali situazioni diventa perciò fondamentale l’assetto emotivo dei professionisti della rete, che si trovano a oscillare tra emozioni come angoscia, senso di frustrazione, rabbia, impotenza, che spesso si mescolano insieme nell’ambito del così definito controtransfert traumatico, in cui si rischia di scivolare verso una regressione a un funzionamento borderline, fatto di iper-idealizzazione e iper-svalutazione, fatta di bianchi e neri senza grigi. La posizione da assumere è quella di collocarsi in una zona intermedia non polarizzata, dove non ci sono buoni e cattivi, che preveda empatia per tutti gli attori di una vicenda. Sostenerli nel dare parole al dolore ai genitori ex compagni feriti è l’obiettivo che dobbiamo porci, avendo chiaro quali sono gli attori del conflitto, dai figli coinvolti, ai genitori protagonisti, ai maltrattanti inseriti in una rete di aiuti multiprofessionale che spesso assume posizioni molto rigide. Presentiamo di seguito due famiglie che abbiamo seguito che permettono di mettere in evidenza la complessità di situazioni di conflitto dove vi sono rispettivamente due bambine “in mezzo a mamma e papà”. Abbiamo deciso di rappresentarli con le immagini di famiglie di animali selvaggi. Presentiamo per prima la famiglia degli orsi e successivamente quella dei dinosauri.
La famiglia degli Orsi
Durante la terapia con questa coppia genitoriale non sono mancati i momenti di conflittualità, che hanno caratterizzato la loro abituale modalità di comunicazione. Per tale ragione ci è sembrata calzante per loro la metafora degli orsi adulti: animali feroci e in lotta tra loro, ma solitari e guardinghi ognuno a modo suo e della loro orsetta fragile con un comportamento molto evitante. Infatti questa coppia genitoriale porta avanti una battaglia, senza esclusione di colpi, che mette di fatto la figlia in una posizione difficile.

Nancy ha 38 anni, nata in Moldavia. È una donna di bell’aspetto, molto curata e puntuale. Lavora come commessa part-time fino alle ore 14 per stare con Noemi, sua figlia. È inoltre madre di Ludwik di 20 anni, il quale vive in Ungheria, e che riesce a vedere in poche occasioni. Interrompe gli studi a 15 anni. A quel periodo risale un primo fidanzatino dal quale avrebbe ricevuto uno schiaffo, motivo per il quale ha interrotto la relazione. Due anni dopo (all’età di 17 anni) si sposa con un ragazzo di 23 anni. Dopo circa 2 anni nasceva Ludwik. Quando il bambino ha circa 5 anni la coppia si separa, anche se con molte tensioni. Tra le motivazioni della separazione si riscontrano problemi economici (la crisi in Moldavia si fa sentire) e maltrattamenti da parte del coniuge, descritto come bevitore e violento che spariva, e quando tornava a casa si accendeva un conflitto. Nel 2004 la madre si trasferisce in Italia, lasciando il figlio con il papà, la sua compagna e i nonni paterni. Nel 2006 lei si innamora del nipote dell’uomo presso cui lavorava, Alberto, di 28 anni più grande di lei, e inizia con lui una convivenza. Si sposano, e riesce a fare il ricongiungimento con il figlio in Italia. Successivamente, quando il marito va in pensione, la coppia entra in crisi e si separa. Riporta di essere stata vittima di violenza soprattutto psicologica, descrivendo un marito controllante e geloso, dal quale scappa, lasciandolo. Nel 2010 conosce Fulvio e nel 2012 rimane incinta di Noemi. Fulvio ha 48 anni, curato e pronto alle battute, si presenta oscillante e insicuro. Romano, primo di tre fratelli, con cui riferisce di avere buoni rapporti. Dal 2001 inizia a lavorare come tramviere e dopo la separazione torna a vivere con i genitori, per poi trasferirsi in una nuova casa. Rispetto alla sua storia familiare emerge subito come Fulvio fosse un bambino trascurato. I genitori erano entrambi dediti al lavoro. Suo padre, meccanico, quando Fulvio era ragazzo ebbe “una brutta depressione”, passava il tempo a casa, non usciva, rammenta che non riceveva da lui sostegno e che non sorrideva mai. Fulvio esprime spesso una tendenza a essere pervaso dall’ansia se sollecitato da accadimenti in relazione alla sua paternità. Attualmente ci racconta di avere una compagna, descrivendola come una donna in cui nutre fiducia, nonostante ammetta il suo sforzo nell’affidarsi, dovuto anche a quanto ha dovuto affrontare. La coppia si conosce nel 2010 in occasione di una visita a Roma di Nancy, all’epoca residente a Sondrio. La convivenza con Nancy inizia nel 2011 e subito concepiscono un figlio, ma a suo dire lei decide di interrompere volontariamente questa gravidanza. Entrambi riportano l’inizio della crisi di coppia che porta alla situazione attuale proprio alla nascita di Noemi nel 2012. Da questo momento si crea una distanza all’interno della coppia, dovuta a una difficoltà di entrambi di rispondere ai bisogni dell’altro. Da questo momento inizia la crisi che si protrae fin quando Nancy denuncia Fulvio per aggressione e si rifugia con la bambina in un centro anti-violenza, dove rimane per tre mesi. La signora, contestualmente alle denunce, deposita ricorso presso il Tribunale per richiedere l’affidamento esclusivo della figlia, l’assegnazione della casa coniugale e il mantenimento. Si apre quindi un procedimento che conduce a una CTU per valutare la capacità genitoriale della coppia. A seguito di questa accusa per maltrattamenti a carico del signor Caccia, questa prima CTU prevede che il padre inizi a vedere la figlia in modalità protetta. Qualche mese dopo il Tribunale per i minorenni assolve Fulvio “per l’assenza di indicatori di personalità violenta e pericolosa”, ripristinando il diritto di visita tra padre/figlia. Poco tempo dopo Noemi inizia a pernottare presso il padre in occasione delle vacanze estive, come da accordi in sede di consulenza. Un anno dopo, la signora sporge una seconda denuncia contro il signor Caccia, per presunto abuso sessuale a danno della bambina. La Procura del tribunale penale dispone una CT, al fine di valutale contestualmente l’attendibilità delle dichiarazioni della bambina, in ambito della quale il servizio affidatario ristabilisce che gli incontri padre-figlia avvengano nuovamente in forma protetta e in presenza di operatori incaricati dal servizio stesso. I rapporti tra i genitori si riducono a scambi di informazioni sulla bambina, caratterizzati da molte accuse reciproche.
La richiesta d’aiuto
Per tale ragione il Tribunale ordinario emette un decreto su indicazione della CTU che propone l’affidamento della minore al Servizio sociale; quanto alla frequentazione tra il padre e la minore prevede che essa avvenga in forma più autonoma, ma alla presenza di un educatore. Dispone che la minore Noemi inizi un percorso di psicoterapia individuale e sollecita i genitori a proseguire un percorso di sostegno alla genitorialità già in corso presso il nostro istituto. L’intervento effettuato è iniziato nel mese di maggio 2016 con la presa in carico dei due genitori. Le convocazioni sono organizzate con sedute individuali separate con ciascun genitore. Naturalmente abbiamo svolto numerosi incontri di rete con i servizi coinvolti e raccordi continui per via telefonica e telematica col servizio affidatario e con la psicoterapeuta che segue la bambina. Abbiamo effettuato anche alcuni incontri con gli avvocati dove abbiamo presentato ai legali la necessità di elaborare una strategia comune per poter proseguire nella stessa direzione, tra cui quella di non avanzare iniziative legali e, qualora ce ne fosse l’idea, di condividerne il senso, e in ogni caso di venire informati qualora si modificasse la situazione. Nel lavoro terapeutico con la coppia genitoriale abbiamo sollecitato un incremento delle competenze genitoriali, mirato a proteggere la bambina dal conflitto, attraverso l’attuazione di un percorso di riconoscimento e sedimentazione degli aspetti di recupero delle fragilità di entrambi e delle loro risorse. L’obiettivo stabilito in origine è stato perseguito per circa un anno, nell’arco del quale abbiamo iniziato con l’approfondimento della storia personale e familiare di entrambi, si è lavorato, attraverso prescrizioni e riflessioni in seduta, al fine di stimolare la messa in evidenza di aspetti positivi dell’altro, come individuo e come genitore. Sono stati sollecitati entrambi i genitori nel tentativo di elaborare nuove strategie di comunicazione che esulino dalla provocazione e dalla recriminazione e valorizzino i loro punti di forza come genitori, che siano riconosciuti a entrambi. Lavoro delicato perché il Tribunale penale ha assolto Fulvio solo a metà del nostro lavoro, dopo circa 7 mesi dalla nostra presa in carico. Un primo punto è stato senza dubbio quello di sostenerli a fidarsi del contesto terapeutico coatto che entrambi, ognuno a proprio modo, hanno avuto difficoltà ad accettare e a mettersi in gioco per un cambiamento. Fulvio, infatti, ha faticato a seguire il percorso con continuità e puntualità, asserendo difficoltà economiche e scarsa fiducia nel percorso della madre. Nancy ha mostrato in alcune occasioni una svalutazione del contesto terapeutico, del quale ha affermato più volte di non necessitare, perché capace di gestire da sola la situazione e perché riluttante a credere in un cambiamento da parte dell’ex compagno. Come si evince, essendo ciascuno di loro molto centrato sul compito dell’ex partner, il lavoro è stato quello di farli concentrare sul loro stile e di modificare alcuni aspetti di sé come genitori nella loro relazione.
I passaggi terapeutici fin qui effettuati sono stati:
• svolgere una funzione di sostegno genitoriale con frequenza quindicinale, considerata l’elevata conflittualità della coppia genitoriale e l’evidenza della fragilità nella comprensione di entrambi rispetto alle necessarie competenze relazionali necessarie per il benessere della figlia;
• supportare i genitori in merito alla difficoltà di comunicare e concordare adeguatamente tra loro nel superiore interesse di Noemi e aiutarli a focalizzarsi sui suoi bisogni, con l’obiettivo di sviluppare un’autonomia nel mettersi d’accordo nella gestione e nella regolamentazione dei reciproci contatti;
• gestione congiunta della genitorialità al fine di ridefinire gli schemi di reciprocità negativa, attraverso una riflessione sugli aspetti che non rimetterebbero in campo;
• sostegno a trovare aspetti positivi dell’altro, come persona e come genitore, attraverso l’espressione di episodi volti ad aumentare la fiducia reciproca e il riconoscimento e una valutazione delle qualità positive messe in campo nella genitorialità;
• supporto nello sviluppo di una cogenitorialità mirata a proteggere la bambina dal conflitto, dove i genitori appaiono ipercoinvolti e non capaci di garantire l’accesso della figlia all’altro genitore; a tale proposito è stato svolto un lavoro di acquisizione di consapevolezza del fatto che l’identità di Noemi è inevitabilmente connessa al rapporto con entrambi;
• lavoro sulla storia personale dei partner e approfondimento sulle storie familiari, in modo da identificare i modelli relazionali di riferimento e le motivazioni profonde che li portano a configgere;
• rivalutazione degli stessi in caso di cambiamento delle condizioni.

Abbiamo svolto questo lavoro per ancora 5 mesi, quando siamo state informate dal Servizio Sociale del nuovo esposto al TM, depositato dal padre, che richiede la decadenza della responsabilità genitoriale di Nancy e l’affidamento esclusivo di Noemi a lui. Tale iniziativa legale ha posto fine purtroppo alle condizioni per poter proseguire gli obiettivi concordati nel nostro lavoro, data la rottura del patto iniziale che richiedeva a entrambi i genitori di non presentare ricorsi e denunce in questa fase. A oggi il percorso terapeutico ha quindi dovuto subire una ridefinizione degli obiettivi che è ancora in valutazione rispetto agli obiettivi che abbiamo condiviso con la coppia durante questo anno di lavoro.
La famiglia dei Dinosauri
Nell’immaginare una metafora del mondo animale per rappresentarla, abbiamo pensato ai dinosauri perché la famiglia di cui parliamo sembra appartenere a un mondo lontano nello spazio e nel tempo, nel quale le relazioni sono percepite, da loro e dagli altri, come pericolose, e dove quindi si preferisce stare da soli.

Maria e Giorgio sono separati legalmente da circa 2 anni, quando vengono in terapia, su iniziativa di Maria, per disagi scolastici, familiari e relazionali della figlia Gioia di 6 anni. Maria è nata in Basilicata nel 1973, vive a Roma. È un avvocato dipendente di un’azienda pubblica. È rimasta orfana di mamma all’età di 3 anni. Il padre è un medico. Il fratello è un dirigente d’azienda di qualche anno più grande di lei, non sposato, che vive tuttora con il padre in Basilicata. Racconta di aver vissuto relazioni maltrattanti: padre, fratello e nuova compagna del padre violenti prima, e relazioni affettive con uomini maltrattanti poi. Parla volentieri di sé e sembra abituata a farlo. Giorgio nasce in Sicilia nel 1971. Militare, ufficiale, vive a Roma. Ha un fratello molto più giovane, anche lui militare, che vive a Caserta e che ha una bambina di 3 anni della quale Gioia dicono essere gelosa. La madre, morta da poco, era un capo-stazione, il padre era un professionista della sicurezza sul lavoro e vive ora in un appartamento vicino al suo. Giorgio ha avuto una vita molto solitaria. Parla molto poco di sé e della sua famiglia. Sembra avere una frequentazione quotidiana con il padre, che è sempre presente, oggi nella vita sua e della figlia, e prima nella sua vita coniugale. Maria e Giorgio si conoscono nel 2009, ma Maria decide di interrompere dopo poco tempo la relazione, che definisce molto conflittuale per gli atteggiamenti violenti, sia verbali che sessuali, di Giorgio. Si accorge però subito dopo di essere incinta e lo riavvicina, ma perde il bambino. Decidono di ritentare la relazione e Maria resta incinta di Gioia e si sposano. In questo periodo però, a causa di un incidente avvenuto tra le due famiglie di origine, alle quali sia Maria che Giorgio sono rispettivamente molto legati, la violenza di Giorgio, a dire di Maria, aumenta fino a esplodere in maltrattamenti verbali e talvolta fisici, sia durante la gravidanza che dopo la nascita di Gioia, sempre più frequenti, dai quali la madre tenta di difendersi chiamando per due volte la forza pubblica. Per la diffidenza rispetto a un intervento dei servizi sociali a protezione della figlia, nel 2015 Maria lascia la casa coniugale portando la bambina con sé, perché ha deciso di separarsi, decisione che a suo dire fomenta i comportamenti violenti di Giorgio. Su consiglio di un avvocato, presenta una querela per i maltrattamenti subiti dal 2011 al 2015, che poi ritira per abbassare i toni in favore di una separazione consensuale, firmata nel 2017, in cui mette in evidenza delle richieste precise nei confronti della frequentazione padre-figlia. Gioia risiede in maniera prevalente presso la mamma e vede il padre regolarmente, due pomeriggi a settimana ma senza i pernottamenti, e a fine settimana alterni; alternate tra di loro sono anche le vacanze. In questo dispositivo i pernotti sono previsti solo da una certa età in poi della bimba. Gioia frequenta la seconda elementare, è anticipataria. Quando Maria ci chiede aiuto, Gioia a scuola è incontenibile e non rispetta le regole, si butta per terra e fa versi di animali, ha forti crisi di ansia nel separarsi dalla madre quando deve entrare in classe e somatizza vomitando e lamentando forti mal di pancia. L’apprendimento non sembra molto compromesso, se non per la difficoltà che Gioia ha, a volte, di concentrarsi. Gli stessi sintomi li manifesta quando deve andare dal padre nei tempi stabiliti dalla separazione, ma soprattutto quando deve restare a dormire da lui (al momento della presa in carico Gioia dorme ancora nel lettone in entrambe le case). Si rifiuta persino di salire in macchina con Giorgio e si fa obbligare da lui con la forza per farlo, e le scenate si accendono con toni molto alti di pianti e urli. Con i compagni ha comportamenti che non le consentono di essere accettata, è dispettosa, irruenta e non sembra sapere come relazionarsi con loro, sia in classe che in occasioni esterne alla scuola. Ha un’amichetta alla quale è molto affezionata, che vede poco perché abita lontano, con la quale sembra però litigare molto spesso. Con gli adulti di riferimento, sia con le maestre che con i genitori, appare piuttosto capricciosa e provocatrice, attirando su di sé risposte di rimprovero a scuola e di rabbia a casa, dove sia la madre che il padre la controllano e la educano spesso ricorrendo all’uso delle mani. Quando conosciamo la madre ci racconta che, grazie al percorso individuale che segue da qualche anno, ha imparato a essere più paziente e a non picchiarla quando Gioia fa i capricci ed è oppositiva. Anche con il padre trattiamo questo tema che emerge e lavoriamo con lui e con la bambina affinché il comportamento si trasformi in uno stile rispettivamente meno violento e meno provocatorio.
La richiesta di aiuto
Maria sembra essere consapevole che i problemi di Gioia nascono dal forte conflitto genitoriale e dalla tendenza ai comportamenti violenti, sia verbali che fisici, di Giorgio ma anche suoi. Si dichiara “incapace di gestire Gioia”. Giorgio sembra essere invece più orientato ad attribuire i disagi della bambina alla separazione e al fatto che lui è stato costretto dalle condizioni di separazione a vederla troppo poco, motivo per il quale la bambina non ha troppa familiarità con lui e preferisce stare con la mamma.
L’andamento della terapia
Maria, su nostra sollecitazione, riesce a coinvolgere da subito Giorgio e vengono in prima seduta, separatamente, a giugno del 2019. La terapia viene organizzata in sedute individuali separate con ciascun genitore e in convocazioni congiunte madre-figlia e padre-figlia. Dopo 5 mesi sono state svolte complessivamente 20 sedute, di cui la metà congiunte con Gioia. Dopo aver raccolto da Maria e Giorgio le loro storie personali e familiari, convochiamo Gioia, prima con Maria e poi con Giorgio. La bambina ci appare da subito un po’ imbarazzata, ma vivace, intelligente e collaborativa. Maria e Giorgio si affidano alla terapia, vengono regolarmente alle sedute e sono ambedue disponibili al lavoro che proponiamo, mostrando di avere interesse per il benessere di Gioia. Giorgio porta in terapia la sua difficoltà a contenere la rabbia e la sua tendenza a usare le mani con Gioia a scopo educativo. Anche Gioia si affida da subito alla terapia e comincia a comunicare il suo disagio a parole e con i disegni. Emergono immediatamente il conflitto di lealtà nella relazione con i due genitori, la volontà di proteggere la mamma e la necessità di essere ascoltata e vista da loro. La sintomatologia che porta sembra confermare l’esposizione a una separazione altamente conflittuale. Più tardi, in una seduta congiunta tra Maria e Gioia, Maria ci racconta che Gioia, in Puglia, davanti a tutta la sua famiglia, ha parlato di atteggiamenti promiscui sessualizzati con suo fratello (lo zio). È allarmata, ma sembra non crederle. Gioia descrive però nella stessa seduta quei comportamenti con gesti sessualizzati. In quella stessa seduta la bambina comincia a dare anche qualche informazione sulle abitudini a casa del padre, prevalentemente relative a visioni di film di circuiti non adatti alla sua età, anche utilizzando biglietti che comincia a mettere in una “scatola dei segreti” costruita in terapia. In attesa di valutare e approfondire meglio eventuali condizioni di sospetti abusi e l’esposizione a stimoli e immagini non adeguate alla sua età, abbiamo concordato con la madre, che ha subito accettato, di mettere in sicurezza la bambina, sospendendo per il momento le visite allo zio, e abituandola a non dormire più nel lettone con il padre, richiesta alla quale peraltro Giorgio aderisce subito.
Nel corso del lavoro sul supporto delle competenze genitoriali, Gioia comincia a essere al centro dell’attenzione dei genitori che, dal canto loro, migliorano progressivamente la co-genitorialità. Attualmente Gioia non ha più le crisi di ansia quando va a scuola o quando deve andare dal padre, ha un rapporto più sereno con entrambi e ha migliorato il rendimento a scuola. Tuttavia, la bambina non ha ancora un rapporto sereno con i compagni e il comportamento in classe non è ancora stabilizzato. Stiamo lavorando sulla sua modalità di relazione e sul disagio, che esprime con la rabbia coinvolgendo i genitori, che sembrano disponibili ad agevolare questo percorso con la loro attiva presenza e con la modifica dei loro stessi comportamenti. È ancora in corso la rilevazione di eventuali comportamenti abusanti intra-familiari e si sta organizzando un invio per una valutazione. L’analisi delle storie personali, familiari e coniugali di Maria e Giorgio ha evidenziato alcuni fattori di rischio della terapia. Maria manifesta una modalità di relazionarsi di tipo dipendente, che la porta a coinvolgersi in situazioni relazionali a rischio. Giorgio ha difficoltà a contenere la rabbia e l’impulsività e sembra faticare a essere in contatto con le sue emozioni. Le famiglie di origine di Maria e Giorgio sembrano essere, sia pure con differenze, ambedue violente, rigide da un punto di vista educativo, chiuse rispetto al mondo esterno, povere affettivamente, invischianti. Il loro rapporto coniugale, messo alla prova dalle forti ingerenze delle loro famiglie, era connotato da violenza, scoppi di rabbia verbale e da una altissima conflittualità, dove la mamma è stata l’elemento fragile, cui Gioia è stata esposta. Le loro relazioni esterne erano povere. Fattori di protezione sembrano invece essere il comune obiettivo della coppia genitoriale di migliorare la qualità delle relazioni e della quotidianità di Gioia e di riconoscere che alcuni loro comportamenti sono dannosi per la bambina, fattori che ci consentono di stabilire una buona alleanza terapeutica e la possibilità di introdurre cambiamenti. Tuttavia, nel caso emergesse da una valutazione più approfondita che Gioia è in una situazione di ulteriore rischio e fosse necessario per questo intervenire più incisivamente per poter eventualmente mettere in sicurezza la bambina, la terapia, che si basa su una domanda di aiuto spontanea, potrebbe non offrire una leva sufficiente per evitare un drop-out.

I passaggi terapeutici fin qui effettuati sono stati:
• il coinvolgimento immediato di Gioia e di Giorgio nelle sedute e la ridefinizione della necessità di una terapia familiare;
• l’ascolto e l’osservazione dei comportamenti sintomatici di Gioia sia alla presenza del padre che della madre;
• la raccolta dei racconti delle storie personali, trigenerazionale e di coppia;
• il lavoro sulle competenze emotive di Giorgio con Gioia, sulla relazione tra Maria e Gioia e sulle competenze genitoriali di tutti e due i genitori;
• il supporto alla gestione della bambina e il lavoro sul conflitto di lealtà;
• l’avvio di un lavoro di rete con la psicologa individuale di Maria;
• il supporto ai genitori nello sviluppo di una cogenitorialità mirata a proteggere la bambina dal conflitto. Stimolo a trovare nuove strategie di comunicazione;
• il lavoro sulle regole, sui confini familiari e sul far emergere i bisogni di Gioia;
• il lavoro sul cambiamento nelle modalità di relazione di Gioia con i compagni e nelle relazioni extra-familiari e intra-familiari;
• l’osservazione e l’ascolto attento di Gioia per le difficoltà emerse alcuni mesi fa e riportate dalla madre nello spazio terapeutico, in riferimento ad alcuni episodi circa la seduttività di Gioia rilevata con lo zio paterno.
Osservazioni conclusive
Anche nei nostri casi, si sono evidenziate le grandi difficoltà con il lavoro sul conflitto genitoriale nei casi di separazione, sia in presenza che in assenza dei figli in stanza di terapia. Abbiamo lavorato sia con un invio coatto sia con uno spontaneo (con le dovute differenze in ambito di motivazione al lavoro):
• in presenza di un provvedimento giudiziario e dei servizi territoriali;
• in loro assenza nel caso di un’elevata conflittualità gestita con una separazione di tipo consensuale.

Si conferma inoltre l’idea della difficoltà di distinzione tra un elevato conflitto tra genitori in separazione e le situazioni di violenza nelle relazioni affettive, ampiamente documentata in letteratura. Entrambi i casi delle famiglie che abbiamo raccontato hanno mostrato la problematicità di tali processi, sia negli invii spontanei che in quelli coatti provenienti dai servizi. Possiamo quindi concludere sottolineando l’importanza di una corretta diagnosi differenziale. Inoltre necessaria è la segnalazione laddove i casi presentati come separazioni altamente conflittuali siano in realtà casi di violenza assistita, così da mettere subito in protezione e in sicurezza le vittime minori e adulte prevenendo il rischio di recidiva. Nei casi delle separazioni altamente conflittuali è necessario intervenire per interrompere la dinamica per tutelare i figli che sono coinvolti in dinamiche di triangolazione e coalizioni perverse che li mettono in una forte condizione di rischio per il loro sano sviluppo psicofisico (maltrattamento psicologico). È necessario che gli operatori e i professionisti che accolgono queste tipologie di famiglie siano preparati e altamente specializzati nel lavoro e che ricorrano alla supervisione clinica sui casi. Nell’ambito del conflitto va assunta, come operatori, una posizione quanto più scevra dalla possibilità di essere triangolati o di assurgere a un ruolo di “giudice”. Il rischio per tutti noi è quello di sentirsi impotenti, oppure di colludere con la conflittualità della coppia prendendo posizioni opposte e alleandosi con uno dei partner, riproducendo così nel loro funzionamento la dinamica disfunzionale della stessa [9]. L’intento deve essere quello di stimolare la ex coppia conflittuale ad abbandonare le proprie posizioni rigide e a focalizzarsi sugli interessi comuni e sull’esercizio costante a cercare più opzioni prima di un accordo, sostenendo che questo è basato su criteri oggettivi, con una connessione importante con le storie personali dove il lavoro sul trigenerazionale aiuta a comprendere le loro posizioni e le loro lealtà. A volte i genitori, come nella storia di Salomone, preferiscono tagliare a metà i figli piuttosto che condividerli con l’altro, e questo genera nei bambini e nei ragazzi inevitabili sofferenze, sensi di colpa, percezioni distorte. Il conflitto è un cocktail esplosivo e nei suoi ingredienti vi è l’incontro di due figli irrisolti che spesso, singolarmente, funzionano; per tale ragione abbiamo necessità di promuovere il cambiamento con un lavoro terapeutico che preveda l’indagine sul “trigenerazionale” [11]. Possiamo inoltre sottolineare l’importanza dei bambini, figli di separazioni altamente conflittuali, che spesso appaiono come una cartina al tornasole dell’adeguatezza della coppia genitoriale e del ruolo fondamentale della psicoterapia con loro, nella costruzione di definizioni per la propria esperienza e nell’elaborazione di eventuali vissuti traumatici. In particolare, il conflitto frequente, intenso, non risolto e centrato sul figlio influisce negativamente e a lungo termine sullo sviluppo emotivo, comportamentale, sociale, scolastico e sulla costruzione delle future relazioni interpersonali e intergenerazionali. Diventa pertanto necessario intraprendere un percorso di valutazione psicologica per approfondire le modalità attraverso cui i figli fronteggiamo la situazione conflittuale per delinearne il profilo emotivo, cognitivo, comportamentale e affettivo-relazionale [9]. Un aspetto importante da considerare è il processo di elaborazione delle esperienze vissute. Al fine di predisporre una corretta procedura di presa in carico è opportune pedisporre formati di convocazione diversificate nella presa in carico: occorre ricorrere raramente a convocazioni congiunte della ex coppia e piuttosto procedere con un lavoro separato con ciascun genitore, tramite colloqui individuali e congiunti, con i figli e con le famiglie di origine. Solo a conclusione di questa fase del trattamento si possono prevedere sedute di coppia per verificare la praticabilità di una riflessione genitoriale comune. L’obiettivo del trattamento deve essere quello di riportare il genitore a porre il suo focus di attenzione sui bisogni del bambino e sui suoi vissuti emotivi. Occorre rendere ogni genitore consapevole delle ricadute dei propri comportamenti sul figlio, uscendo dalla dinamica del controllo e dell’attribuzione all’altro genitore della responsabilità di ogni disagio da questi vissuto [9].
BIBLIOGRAFIA
 1. Cigoli V, Galimberti C, Mombelli M. Il legame disperante. Milano: Raffaello Cortina Editore, 1988.
 2. Lubrano Lavadera A. Ascoltare il minore: comprendere le dinamiche relazionali e familiari. In: Malagoli Togliatti M, Lubrano Lavadera A. Bambini in tribunale. L’ascolto dei figli “contesi”. Milano: Raffaello Cortina Editore, 2011.
 3. Minuchin S. Famiglie e terapia della famiglia. Roma: Astrolabio, 1974.
 4. Haley J. Terapie non comuni. Roma: Astrolabio, 1973.
 5. Cavedon A, Magro T. Dalla separazione all’alienazione parentale. Come giungere a una valutazione peritale. Milano: Franco Angeli. 2010.
 6. CISMAI. Requisiti minimi degli interventi nei casi di violenza assistita da maltrattamento sulle madri 2005/2017. http://cismai.it/requisiti-minimi-degli-interventi-nei-casi-di-violenza-assistita/, 2017.
 7. Buccoliero E, Soavi G. Proteggere i bambini dalla violenza assistita. Milano: Franco Angeli, 2018.
 8. De Blaiso P. Tra rischio e protezione. La valutazione delle competenze parentali. Milano: Unicopli, 2005.
 9. CISMAI. Linee guida per la tutela dei minorenni nelle separazioni gravemente conflittuali. https://cismai.it/la-tutela-dei-minorenni-nelle-separazioni-gravemente-conflittuali/, 2019.
10. Haley J. Speech sequences of normal and abnormal families with two children present. Family Process. 1967; 6: 81-97.
11. Pagano O. La cassetta degli attrezzi. Tecniche e strumenti per la prevenzione e la cura della violenza all’infanzia. Uno spunto per riflettere sulla tematica dell’affido nei casi di separazione conflittuale. La notte stellata 2018; 2: 139-48.