Psicoterapia: un diritto di tutti

Luigi Cancrini



Con una decisione storica il Ministero della Salute ha inserito, nel mese di giugno del 2017, la psicoterapia fra le prestazioni considerate nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Quello che comincia a realizzarsi in questo modo è per me il sogno di una vita.
Ho lasciato l’Università nel 1996, dedicandomi all’insegnamento ed alla pratica della psicoterapia, perché la psichiatria delle Università, in Italia e in tanti luoghi del mondo, riteneva e ritiene di doversi occupare solo degli psicofarmaci che gli psichiatri “sani” prescrivono ai “malati”. Le pressioni dell’industria farmaceutica hanno avuto ed hanno un ruolo importante in questa deviazione ma la debolezza culturale e la psicopatologia di tanti “cattivi maestri” non debbono essere considerate meno importanti in un tentativo di spiegare quello che è successo in tutti questi anni. Condizionando anche, fino ad oggi, scelte e orientamenti del Sistema Sanitario Nazionale.
Avevo tentato in Parlamento, nel 2008, la strada di una legge basata sul riconoscimento del diritto alla psicoterapia per tutti coloro che potevano trarne giovamento. All’unanimità il testo della proposta di legge era stato approvato da tutte le forze politiche della Commissione Affari Sociali della Camera ma la fine prematura della legislazione ne impedì la discussione in Aula. Quella che si apre oggi, dopo la decisione del Ministero, è la possibilità che a legiferare siano le Regioni: dettando le procedure per rendere reale, nella pratica, la soddisfazione di questo diritto.
Riteniamo importante a questo punto offrire al lettore di Ecologia della mente i brani più significativi del testo “Il ruolo della Psicologia nei Livelli Essenziali di Assistenza”, redatto nel giugno del 2017 da una task-force sui LEA, istituita presso il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi (CNOP), su cui il Ministero ha basato la sua decisione.
È stato evidenziato come per essere inclusi nei LEA gli interventi devono essere di efficacia dimostrata. Si è comunque ritenuto importante sottolineare alcuni dati in tal senso, in particolare per sottolineare il “value” di queste attività ovvero il rapporto tra esiti e costi.
La letteratura infatti, al di là di un pensiero diffuso che vede la Psicologia in termini di costi, dimostra un elevato “value” per gli interventi psicologici che sono in grado di generare effetti sulla salute nel breve, medio e lungo periodo con costi che risultano vantaggiosi in termini di risparmi e minori oneri sanitari e sociali che producono.
Si tratta quindi di interventi in grado di superare il criterio di sostenibilità e di generalizzabilità.
L’efficacia degli interventi psicologici e psicoterapici è oggetto di moltissimi studi, che ne dimostrano l’effetto clinico ma anche fisiologico ovvero le modifiche sui circuiti e strutture cerebrali così come sul funzionamento corporeo (per un approfondimento, vedi APA 2012). La ricognizione effettuata dall’APA include 148 ricerche (trial randomizzati controllati) e dimostra effetti significativi e duraturi per un’ampia gamma di patologie, in genere equiparabili o superiori a quelli dei farmaci.
L’effect size delle psicoterapie per un’ampia gamma di disturbi, come risulta dalla letteratura, ha una prevalenza intorno allo 0,8 (effetto significativamente ampio) (Shedler 2010; Hunsle et al. 2013). È significativo confrontare questi livelli di efficacia con quelli mostrati dagli antidepressivi: la meta-analisi di Moncrieff et al. (2004) ci mostra che quando il trattamento farmacologico viene confrontato con un placebo attivo la differenza tra farmaco e placebo praticamente si azzera (0,17). Anche il lavoro di Turner et al. (2008) su ben 74 ricerche, e considerando tutti i tipi di antidepressivi, mostra un effetto generale molto modesto (0,31). È questo anche l’effect size che risulta da tutti i trial per la somministrazione di antidepressivi sottoposti all’FDA (Gilbertini et al. 2012). Soprattutto a lungo termine nei follow-up dopo la fine del trattamento e considerando gli effetti indesiderati, la forbice dell’effect size della psicoterapia a confronto della farmacoterapia si accentua ancora. Un quadro simile risulta anche per il confronto tra psicoterapia e psicofarmacoterapia per altre malattie (vedi un breve riassunto da Margraf e Schneider 2016).
Accanto agli studi di efficacia si è cominciato da alcuni anni ad effettuare anche valutazioni di impatto economico. Tali valutazioni possono riguardare il rapporto tra costi e benefici a breve termine o a lungo termine, tenendo conto di relazione più dirette (ad es. costo dell’intervento e risparmi sanitari: cost-benefict) o più ampie (ad es. vantaggi in termini di qualità della vita, disabilità, mortalità: cost-effectiveness).
Nella quasi totalità dei casi risulta vera l’affermazione che gli interventi psicologici non costano nulla al sistema, perché si ripagano da soli con le minori spese che innescano e spesso fanno anche risparmiare. Gli indicatori considerati sono il “Numero di persone da trattare” (NND) e il QALYs (Qualit Adjusted Life Year): il primo si riferisce al numero di persone da trattare con un certo trattamento per avere un successo, il secondo si riferisce al livello costo-efficacia come misurato dal costo per Qaly. Quest’ultimo è composto da due fattori: la severità della condizione di salute e il costo per ogni caso trattato: il costo per ogni anno con migliore qualità di vita (Qaly) rappresenta così la misura della costo-efficacia del trattamento, più è bassa la cifra e più il trattamento sarà vantaggioso. In genere un trattamento è considerato vantaggioso se ha un Qaly inferiore a 35.000 euro. I trattamenti psicoterapici mostrano una performance economica piuttosto significativa, sia in assoluto, sia se paragonati a molti trattamenti di uso frequente per patologie somatiche.
Tali dati, insieme all’introduzione della pratica basata sulle evidenze, definita nel documento della task force presidenziale dell’APA Evidence-Based Practice in Psychology (EBPP) come “la integrazione della miglior ricerca disponibile con la competenza dei clinici nel contesto delle caratteristiche del paziente, della sua cultura e delle sue preferenze” (APA 2006), hanno posto la questione della necessità della programmazione e della verifica di tutti gli interventi psicologici attuati nei diversi contesti sanitari.
I Lea Psicologici rappresentano nell’attuale scenario sociale un caposaldo di salute in grado di prevenire patologie psichiche e anche fisiche in considerazione dell’elevato numero di stressor oggi in grado di attivare condizioni di esaurimento con innesto di malattie. Ad ogni cittadino è garantito il diritto di prevenire noxae a seguito di disagi prolungati che diventeranno cronici qualora non trattati, dando luogo a manifestazioni morbose. Nell’attuale quadro epidemiologico è oramai un’evidenza il nesso causale tra condizioni difficoltose di vita ed emergenze di salute.
Esistono numerosi studi longitudinali che hanno evidenziato il rapporto tra disagio psicologico significativo e protratto (distress psicologico) ed insorgenza di disturbi psichici e patologie fisiche, o sul decorso e costi della patologia, così come sulla positiva incidenza di interventi psicologici – anche brevi – su questi stessi aspetti.
Poiché la dimensione psichica è uno snodo fondamentale nell’orientare gli atteggiamenti, i comportamenti, le relazioni e gli equilibri adattativi (ciò che le persone pensano, sentono e fanno), essa è in grado di incidere fortemente nella prevenzione, nella promozione della salute e nella cura e gestione delle malattie.
A fronte di investimenti limitati (non servono apparati tecnologici) si producono effetti sistemici significativi a livello individuale, familiare, di gruppo, di organizzazione e di comunità.
Va inoltre sottolineato lo sforzo di mettere a punto e testare interventi efficienti, sostenibili e generalizzabili, in grado cioè di essere erogati in contesti ampi e significativi di popolazione.
Già oggi in tutta l’Europa il peso del disagio psicologico negli ambulatori dei medici di base, nel pronto soccorso e nei vari reparti è alto e questo porta a un notevole aumento della spesa sanitaria pubblica. I risultati del progetto PISA della OECD (2017) mettono in evidenza per l’Italia il relativamente alto tasso di disagio psicologico (per es., aspetti di ansia, soddisfazione della vita) in confronto alla media OECD. La necessità di affrontare il disagio psicologico viene sottolineata anche dal fatto che, in vari Paesi europei, sia il prepensionamento sia le assenze per malattia sono spesso motivati da vari problemi psichici (vedi i dati del Hauptverband der Österreichischen Sozialversicherungsträger 2016, Knieps et al. 2016).
Da una analisi condotta dal Centre for Mental Health emerge che un intervento precoce in età evolutiva in diverse situazioni di disagio psicologico permette un enorme beneficio economico (Investing in Children’s Mental Health Report 2014; Khan et al. 2015; vedi anche l’impatto sulla salute fisica nel Carolina Abecedarian Project, Campbell et al. 2014). Alla stessa conclusione è giunto un report di economisti della London School of Economics, del Centre for the Economics of Mental Health e del Centre for Mental Health in un report del 2014 (Knapp et al. 2014) per adulti in varie situazioni di disagio psicologico.
Va da ultimo sottolineato, rimanendo in campo economico, il costo del mancato intervento psicologico (inappropriatezza da sottoutilizzo), che appare nei dati disponibili e nella pratica largamente diffuso.

Sono tutte cose che sapevamo. Sono tutte cose che dicevamo da tempo. Importante, adesso, che chi ci governa se ne sia reso conto. Sono discorsi e provvedimenti come questo e come quello (dicembre 2017) che ufficialmente riconosce come sanitaria la professione dello psicologo la prova più evidente del fatto che la salute mentale non può e non deve essere affidata solo ai medici ed ai farmaci. Nel nome di quella che, con Bateson, noi abbiamo imparato a chiamare una “Ecologia della mente”.