Lavorare con il modello sistemico-relazionale

Luigi Cancrini, Francesca De Gregorio

PREMESSA
Il Convegno “Terapeuti e pazienti: la relazione che cura” della Società Italiana di Psicologia e Psicoterapia Relazionale (SIPPR), la società cui insieme abbiamo dato vita molti anni fa, si svolge nell’anno in cui ricorre il quarantennale della legge Basaglia, ed è partendo da qui che vorremmo proporre, molto brevemente, alcune riflessioni che riteniamo importanti sul presente e sul futuro della nostra disciplina; a proposito del nostro appassionante, straordinario ed assai poco conosciuto e apprezzato modo di lavorare.
IL CONTESTO
Sul contesto sociale e politico, prima di tutto, in cui a quella Legge si arrivò. Erano passati solo pochi anni dal ’68, la stagione del movimento studentesco in cui il tema del manicomio e della malattia mentale era stato vissuto e presentato, utilizzando il saggio di Franco Basaglia “L’istituzione negata” [1], come il tema simbolo dell’esclusione dei più deboli ad opera dei più forti. Lottare per la pace nel Vietnam, per il superamento delle borgate e per l’inclusione scolastica dei bambini sfortunati e diversi o per l’abbattimento del muro che delimitava l’ospedale psichiatrico era, in quel tempo, un modo di chiedere giustizia nel nome dei diritti fondamentali di ogni persona contro la logica disumana di un capitalismo senza regole. Quello che si verificò negli anni successivi, in Italia, fu l’incontro, su questi temi, della cultura cattolica più progressista legata non solo alla parola di Giovanni XXIII ed alla scelta politica di Aldo Moro, ma anche alla volontà di cambiamento del Partito Comunista di Enrico Berlinguer. All’interno di un “compromesso” cui di fatto, per anni, si diede vita in Parlamento e di cui la legge Basaglia fu uno dei frutti più importanti e più definitivi. Riproponendo l’idea, oggi assai disprezzata da chi fa politica soprattutto con le urla e con i proclami, dell’importanza fondamentale, in democrazia, del dialogo che porta a sintesi aspirazioni, pensieri e sogni nati in tradizioni culturali diverse.
Permettendo un progresso che resta impossibile invece quando si alzano programmaticamente i toni del conflitto.
I RISULTATI
Al di là di tutte le polemiche, i manicomi sono scomparsi. Riportata nel territorio, la sofferenza psichica è oggetto di interventi centrati sul tentativo di offrire una vita la più dignitosa possibile a chi sta male. Che gli psichiatri e tanti giornalisti se ne rendano conto o no, l’urgenza che si propone in queste nuove situazioni in modo sempre più evidente è quella di un lavoro psicologico che riguarda i pazienti e le loro famiglie. Come Basaglia sapeva benissimo, a differenza di molti dei suoi allievi, come noi psicoterapeuti familiari e relazionali proponiamo da sempre in polemica aperta con tanti esponenti di Psichiatria Democratica e come noi fondatori ed appartenenti alla SIPPR abbiamo tentato e tentiamo di favorire lavorando alla formazione ed al sostegno di chi dei pazienti e delle loro famiglie nel territorio si deve occupare. Anche se non è facile ancora per noi e per i nostri allievi contrastare la deriva medico-farmacologica, sostenuta dall’ignoranza di troppi psichiatri universitari, che operano privatamente e nei servizi pubblici, dal loro sostanziale asservimento agli interessi e al potere dell’industria farmaceutica, chiarendo a tutti, pazienti ed operatori, il ruolo fondamentale del lavoro psicoterapeutico. Un ruolo che, ancora oggi, non tutti riconoscono: anche se la diffusione odierna nei servizi pubblici in Italia del metodo del dialogo aperto e dei gruppi multifamiliari dimostra, con chiarezza, l’importanza crescente, in tanti servizi all’avanguardia, di un discorso che ha origine soprattutto dalla psicoterapia familiare e sistemica e dal nostro lavoro.
LE SFIDE CHE CI ASPETTANO
La prima sfida, lo abbiamo appena detto, è quella che riguarda la deriva medico-farmacologica di tanti servizi e di tanto incolto giornalismo divulgativo. Non insisteremo su questo, tuttavia, perché vogliamo sottolinearne soprattutto un’altra, di cui troppo poco si è parlato finora anche nei nostri convegni e nelle nostre riviste.
La cultura e l’esperienza della psicoterapia, di tutta la psicoterapia, ci insegnano con chiarezza da sempre che l’origine dei disturbi psichici, dai più gravi ai meno gravi, va ricercata nei primi anni di vita del bambino. In una delle ricostruzioni più importanti, basata sui lavori di Winnicott e di Kernberg, che abbiamo riproposto in dettaglio in un libro recente [2], l’idea è quella di una corrispondenza fra le esperienze sfavorevoli dei primi mesi di vita (gli ultimi di quella intrauterina ed i primi 6-8 dalla nascita) e il disturbo psicotico più profondo, fra quelle del periodo dello svezzamento e i disturbi schizoidi, fra quelle della crisi di riavvicinamento e dei traumi vissuti fino all’età scolare con i disturbi di personalità più gravi dell’adulto e fra quelle del tempo edipico, infine, ed i disturbi di area più francamente nevrotica. Non è questa la sede ora per una discussione approfondita di temi tanto complessi e tanto impegnativi dal punto di vista concettuale.
Quello che noi psicoterapeuti possiamo e dobbiamo, tuttavia, affermare con grande chiarezza, e che rappresenta attualmente la più importante e la più grandiosa delle sfide che ci attende, è che a favore di questi bambini in difficoltà è possibile oggi intervenire. Curandoli per tempo all’interno di progetti centrati su pratiche ormai consolidate ed in particolare:
• su una pratica psicoterapeutica, oggi già attiva in tante situazioni pilota e di cui occorre permettere la diffusione sistematica, capace di far rispettare il diritto alla cura oltre che quello alla protezione di tutti i bambini che subiscono maltrattamenti o abusi; di cui noi in prima persona abbiamo fatto esperienza per 20 anni presso il Centro Aiuto al Bambino Maltrattato e alla Famiglia in convenzione con il Comune di Roma e che dovrebbe essere estesa d’ora in poi a tutto il territorio nazionale; in aperta controtendenza, purtroppo, con le linee della neuropsichiatria infantile medica italiana, ma come chiaramente auspicato da un documento del precedente Garante Nazionale per l’Infanzia e dell’Adolescenza [3] e come tendenzialmente sta facendo oggi per prima la Regione Veneto: aprendo un servizio di secondo livello per il maltrattamento sui minori in ognuna delle sue otto province;
• su una pratica sistematica di intervento sociale e psicologico a favore di tutte le situazioni di maternità a rischio: attraverso una campagna di sensibilizzazione, di informazione e di formazione sul rischio corso dal bambino che nasce in una situazione di difficoltà della madre e/o della coppia soprattutto nei consultori familiari e nei reparti di ostetricia degli ospedali.

È sulla base di questo tipo di progetti che noi dobbiamo proporre, di fronte alle strutture sanitarie ed al grande pubblico, l’idea di una cultura psicoterapeutica capace di farsi strumento fondamentale di cura del bambino coinvolto in esperienze sfavorevoli e di prevenzione dei disturbi psichici più gravi dell’adulto. Utilizzando l’esperienza di tanti dei nostri soci più prestigiosi, a partire da quelli che fondarono, a Milano, su linee proposte da Mara Selvini, il Centro del Bambino Maltrattato (CBM), al quale il nostro Centro Aiuto al Bambino Maltrattato e alla Famiglia a Roma si è ispirato, per dare vita ad un nuovo disegno di Legge sul diritto alla psicoterapia dei bambini e delle famiglie: di cui noi stessi, se ci saremo, ed i nostri allievi che ci avranno seguito raccoglieremo e celebreremo i risultati fra qualche tempo. Meno, speriamo, di quarant’anni.
BIBLIOGRAFIA
1. Basaglia F (a cura di). L’istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico. Milano: Baldini & Castoldi, 2014.
2. Cancrini L. La cura delle infanzie infelici. Viaggio nell’origine dell’oceano borderline. Milano: Raffaello Cortina Editore, 2013.
3. Documento elaborato dalla Commissione Consultiva per la prevenzione e la cura del maltrattamento ai minorenni a cura dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza del 15 maggio 2015.